Molini di Triora nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

26 novembre 2022 | 07:00
Share0
Molini di Triora nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata agli approfondimenti

Molini di Triora. Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata agli approfondimenti storici a cura dello storico sanremese Andrea Gandolfo che oggi ha ricostruito per i lettori di Riviera24.it la storia del paese di Molini di Triora, in alta valle Argentina, che il 27 dicembre 1903 si staccò dal Comune di Triora per diventare un comune autonomo.

«Il paese sorge alla confluenza dei torrenti Argentina e Capriolo in fondo alla ripida dorsale che discende da Triora ed è circondato da boscosi contrafforti montani, in parte terrazzati. L’abitato si distende lungo un’ansa del torrente, all’incrocio delle strade dirette alla testata della valle e, lateralmente, alla colla di Langan, posta a 1127 metri sul livello del mare, e in Val Nervia a ponente e al Passo della Teglia (1387 metri) e alle valli della Giara di Rezzo e Arroscia a levante. L’origine del toponimo è chiaramente collegabile con la presenza nella zona di ventitré mulini destinati alla macinazione della farina e delle olive, resa possibile anche dalla particolare abbondanza di acqua nei pressi del borgo, il cui nome è attestato per la prima volta in un documento del 1271 nella forma latinizzante Molendinum, poi divenuto Molini, dal latino tardo “molinum”, ossia macina, derivata a sua volta dal latino classico “mola” di pari significato, mentre solo più tardi, per non confonderlo con altri paesi dello stesso nome, sarebbe stato aggiunto l’attributo “di Triora” allo scopo di ricordarne la dipendenza da quest’ultimo Comune, che nei secoli medievali e della successiva età moderna esercitava il suo incontrastato dominio su tutta l’Alta Valle Argentina».

« Il territorio dell’odierna Molini dovette essere presumibilmente abitato fin dalle più remote epoche protostoriche da comunità umane dedite alla caccia e alla pastorizia, alle quali si sostituirono in età preromana tribù di Liguri Montani, che hanno lasciato consistenti tracce della loro presenza nell’alta valle, reperibili soprattutto nel castellaro di Bric Castellaccio, uno dei numerosi villaggi fortificati che opposero una strenua resistenza alla penetrazione romana nella zona. Sulla Rocca di Drego, ubicata nel territorio comunale di Molini, è stato localizzato un villaggio romano-ligure, che risulta essere stato ininterrottamente abitato dalla seconda età del Ferro fino al IV secolo d.C. Non esistono tuttavia prove certe di un villaggio o pagus romano nella zona dell’odierna Molini, dove è peraltro avanzabile l’ipotesi che il primo nucleo abitato del futuro paese si sia già formato all’epoca delle incursioni barbariche. È anche possibile che il centro primitivo sia stato fondato da alcuni abitanti della costa rifugiatisi sulle montagne dell’entroterra per sottrarsi ai violenti saccheggi a cui i Longobardi di Rotari sottoposero le località costiere nel 643, mentre le successive devastazioni compiute dai Saraceni tra il IX e il X secolo dovettero probabilmente produrre lo stesso effetto inducendo molti abitanti delle località costiere a riparare nell’entroterra per rifugiarsi nei borghi già esistenti o per costruirne dei nuovi al riparo dalla concreta minaccia delle terribili devastazioni, alle quali erano più facilmente esposte, per la loro ubicazione sulla sponda del mare, le località della fascia costiera. La fondazione di un vero e proprio centro abitato nel sito dell’attuale Molini si deve comunque datare con ogni probabilità intorno al Mille, su iniziativa di un gruppo di monaci Benedettini, che – secondo un documento del 972 – erano stati inviati dal monastero piemontese di Pedona, l’attuale Borgo San Dalmazzo, a Taggia, da dove, tra il VI e il IX secolo, erano soliti recarsi spesso alla Casa Madre percorrendo a piedi l’alta Valle Argentina».

«Nei luoghi di sosta i Benedettini fondarono quindi degli «ospizi» per consentire un giusto riposo al riparo dalle avversità meteorologiche e un posto di ristoro ai monaci impegnati nel lungo viaggio verso il Piemonte, e Aigovo e Andagna, attuali frazioni di Molini, furono appunto sedi di «ospizio». I monaci arrivavano dalla costa e riferivano ai loro fratelli a Pedona come si viveva sulla costa, mentre nel viaggio di ritorno portavano ai monaci situati nell’alta Valle Argentina notizie e novità inerenti la vita religiosa e sociale della loro comunità nel Basso Piemonte, contribuendo così a mantenere vivi i rapporti umani e culturali tra il loro monastero piemontese e i villaggi montani della valle Argentina. Nei primi decenni dell’XI secolo si dovette quindi formare il primitivo nucleo abitato di Molini intorno ai primi mulini per cereali installati dagli abitanti del borgo lungo il torrente Capriolo al fine di supportare ulteriormente la proficua attività intrapresa nel comprensorio dai Benedettini, che vi avevano introdotto l’olivicoltura con benefici effetti sull’economia dell’intera vallata. Nel X secolo il territorio dell’attuale Comune di Molini di Triora era stato inizialmente assegnato agli Arduinici entrando a far parte del Comitato di Albenga, dalla cui diocesi sarebbe dipeso fino alla prima metà del XIX secolo, quando passò sotto la giurisdizione ecclesiastica della Diocesi di Ventimiglia. All’inizio del Duecento Molini, Triora e Badalucco divennero quindi feudi dei conti di Ventimiglia, che, a causa della lontananza di tali domini e delle particolari difficoltà delle vie di comunicazione, delegarono l’amministrazione dei loro feudi nell’alta Valle Argentina a famiglie notabili del luogo, quali i Borelli, i Gastaldi, gli Stella, i Velli ed altri, i quali, già nella prima metà del XIII secolo, si erano di fatto resi indipendenti dal loro feudatario. Ai primi del Duecento Molini ed altre venti località della Liguria occidentale avevano intanto promesso solennemente a Genova di portare ogni anno un grosso cero alla cattedrale di San Lorenzo in segno di fedeltà, fatto questo che denota come l’autorità dei Ventimiglia si fosse del tutto affievolita nell’alta valle. Nel 1210 le due componenti comunali di Triora avevano intanto stretto un’alleanza in base alla quale fu possibile dare vita ad un’amministrazione unitaria su tutto il territorio triorese e relative frazioni, tra le quali anche Molini, sotto la guida di sei consoli. Nel frattempo le mire espansionistiche genovesi si stavano gradualmente estendendo sulla contea di Ventimiglia, tanto da costringere il conte Guglielmo I a sottoscrivere un formale atto di vassallaggio alla Repubblica di Genova il 30 luglio 1249 nel palazzo arcivescovile della capitale della Serenissima. Dopo la morte di Guglielmo I nel 1253, il terzogenito del conte Guglielmino cedette nel 1257 l’intera contea al conte di Provenza Carlo d’Angiò in cambio della baronia di Glandevez, ma la cessione non ebbe nessun effetto per la sua nullità giuridica, mentre il secondo figlio Guglielmo Pietro, capitano delle milizie genovesi a Costantinopoli, vi sposò nel 1259 la figlia dell’imperatore di Nicea Tedoro II Lascaris, Eudossia, fondando così la dinastia dei Ventimiglia-Lascaris, che si sarebbe poi stabilita a Tenda, dove istituì una potente e indipendente Contea estesa anche a Briga, Limone, Vernante ed altri feudi limitrofi».

«I due fratelli Pietro Balbo e Guglielmo Pietro Ventimiglia non avrebbero comunque potuto resistere a lungo alla pressione dei Provenzali senza l’appoggio di Genova, che avrebbe tollerato l’esistenza di uno stato cuscinetto sulle sue frontiere occidentali a patto di poterlo fortificare con l’annessione della Valle Argentina. Fu così che Oberto III, che si era fatto proclamare dopo la morte del padre conte di Badalucco e signore di Molini, Triora ed altre terre dell’alta valle, venne indotto dalla politica fortemente filogenovese dei suoi fratelli, a cedere i suoi feudi alla Repubblica, che acquisì in tal modo Molini e tutti i feudi della Valle Argentina tramite contratto stipulato nel 1260 e poi ratificato da Pietro Balbo e Guglielmo Pietro nel 1261. Molini e i paesi vicini entrarono quindi a far parte della Podesteria di Triora, una giurisdizione genovese che comprendeva anche i comuni di Baiardo, Castelvittorio, Ceriana, Montalto e Badalucco. Le autorità genovesi si riservarono però sempre la nomina del podestà, che sostituì quindi i consoli alla guida del Comune. All’inizio del XIV secolo venne concesso al comune di darsi una regolamentazione legislativa adeguata con la pubblicazione degli Statuti comunali che comprendono la costituzione, il diritto civile e penale (in gran parte reati di natura contravvenzionale, mentre i delitti più gravi erano regolati dalle leggi genovesi, tanto che solo il podestà poteva condannare a morte), le procedure allora unificate e le norme atte a controllare le varie attività economiche, tra le quali in particolare l’agricoltura e la pastorizia. Il testo degli Statuti poteva peraltro essere modificato, ma ogni dieci anni doveva essere sottoposto all’approvazione del Senato della Repubblica di Genova. Il Comune aveva inoltre un Parlamento Generale e un governo formato da un Consiglio dei Ventiquattro e propri magistrati sotto l’autorità suprema del Magnifico Pretore. Nel 1331 Molini era intanto stata assoggettata dal signore di Ventimiglia Carlo Grimaldi, che governava il paese attraverso suoi scherani, i quali utilizzavano sistemi alquanto vessatori e prepotenti. Nel 1459 Molini e gli altri centri dell’alta valle vennero colpiti da una gravissima epidemia di peste, che causò il decesso della metà degli abitanti della zona, mentre Molini andava gradualmente crescendo di importanza, come si può dedurre dal fatto che a partire dal 1484 la chiesa parrocchiale di San Lorenzo venne interamente rifatta e ingrandita».

«Tra il 1525 e il 1529 si verificò un’altra terribile epidemia di peste, che mietè numerose vittime soprattutto a Triora, ma anche a Molini si contarono molti morti a causa del morbo. Nel 1628 Molini venne poi distrutta dalle truppe di Felice di Savoia, figlio naturale di Carlo Emanuele I, che aveva assediato con quattromila soldati Triora, poi liberata grazie all’intervento di trecento militi genovesi giunti in soccorso dei Trioresi da Taggia per rinforzare la guarnigione di stanza nel paese dell’alta Valle Argentina. Nel 1630 il paese venne colpito da un’altra epidemia di peste, che provocò altri lutti tra la popolazione locale. Circa venticinque anni dopo, con atto rogato dal commissario Giacomo Negrone il 2 maggio 1654, la comunità di Molini, insieme a quelle di Andagna e Corte, ottenne la tanto agognata autonomia amministrativa da Triora con la divisione di ogni debito e credito dal capoluogo in modo che ogni credito o entrata sarebbe spettato in proporzione agli abitanti delle tre ville già dipendenti da Triora. Le comunità di Molini, Andagna e Corte furono inoltre autorizzate dal governo genovese ad eleggere un proprio Parlamento, formato da un anziano coadiuvato da otto consiglieri, con la facoltà di provvedere a tutto ciò che concernesse gli interessi comuni della popolazione senza che il Parlamento di Triora si potesse intromettere negli affari interni della comunità; il Parlamento avrebbe avuto pure la facoltà di eleggere un anziano e due magistrati del comune per villa, che si sarebbero occupati del buon andamento dell’amministrazione giudiziaria. Molini e le altre due ville erano inoltre obbligate a contribuire alle spese annue per la casa, il predicatore, le palme e per il mantenimento dell’orologio pubblico, mentre, per quanto concerneva le cause civili intentate da Trioresi contro gli abitanti delle tre ville si decise che sarebbero dovuti intervenire gli anziani delle comunità, tre per ogni villa, coadiuvati nella loro attività giudiziaria dal podestà di Triora, a differenza degli imputati delle tre ville, così come dei forestieri, che avrebbero dovuto essere giudicati da magistrati locali a loro beneplacito, con l’assistenza però sempre del podestà triorese e di un cancelliere. Il Parlamento di Molini e delle altre due ville fu infine incaricato di eleggere ogni anno due ragionieri per comunità con il mandato di rivedere i conti degli anziani e dei cassieri secondo quanto disposto dal magistrato della comunità, senza che i ragionieri di Triora o quelli delle ville potessero intromettersi negli affari interni degli altri paesi per avere dati o informazioni sulla consistenza patrimoniale di ciascuna comunità».

«Nel 1672 la zona dell’alta valle venne coinvolta in una nuova guerra tra la Repubblica di Genova e i Savoia per questioni di confine e di pascoli fra Triora e Briga nella zona di Realdo, tanto che le campagne di Molini furono devastate e saccheggiate dalle truppe contrapposte, mentre a Triora erano acquartierati migliaia di soldati genovesi che si scontrarono vittoriosamente con le truppe del duca Carlo Emanuele II di Savoia sul Colle del Pizzo. Ai primi di ottobre del 1708 cadde invece su Molini una pesante coltre di neve, che causò la quasi completa distruzione dei numerosi castagneti sparsi nelle campagne circostanti l’abitato, alla quale seguì una gravissima carestia che mietè molte vittime, mentre gli stessi castagni si seccarono in grande quantità con un drastico calo del raccolto negli anni successivi. Nel corso della guerra di successione austriaca, anche la zona di Molini venne coinvolta nelle operazioni belliche con annessa occupazione del comprensorio da parte delle truppe piemontesi, che angariarono in tutti i modi con ogni sorta di abuso e vessazione la popolazione locale. Nel 1749  Molini venne nuovamente colpita da un’altra grave epidemia, questa volta di vaiolo, contro il quale non esistevano ancora cure adatte e così si ebbero ancora una volta numerose vittime. Undici anni dopo il paese dovette affrontare un’ennesima epidemia di peste, pare causata dall’ingestione di stoccafisso guasto da parte di numerosi Molinesi, molti dei quali caddero vittime del morbo, mentre la zona era infestata da una banda di briganti rotti a tutti i delitti, tra i quali numerosi disertori abituati alla violenza e ai soprusi, che assaltavano ripetutamente i commercianti che ritornavano a casa derubandoli o anche uccidendoli nel caso questi ultimi opponessero resistenza. Nessuno osava rispondere alle loro angherie per timore di essere uccisi, anzi sembra che alcuni Molinesi si fossero messi tacitamente d’accordo con tali briganti per spartirsi con loro il ricco bottino depredato. Dopo l’invasione delle truppe rivoluzionarie francesi guidate dal generale Massena nell’aprile 1794, la zona di Molini divenne teatro di un’aspra guerriglia tra savoiardi e francesi, che sottoposero più volte il paese ad ogni sorta di violenze e soprusi. Con la nascita della Repubblica Ligure nel 1797, Molini entrò a far parte del quarto cantone della Giurisdizione delle Palme, con capoluogo Sanremo, mentre nell’aprile dell’anno successivo il paese e tutti gli altri borghi dell’alta Valle Argentina passarono sotto l’amministrazione della Giurisdizione degli Ulivi con Triora come capocantone. Tra il 1799 e il 1800 le varie guerre in corso avevano frattanto bloccato gli scambi commerciali, causando l’aumento incontrollato del prezzo dei generi alimentari e costringendo i poveri ad ipotecare le loro terre per un pugno di sale, mentre gli usurai imperversavano e i raccolti di grano e castagne non erano più sufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione. Il 6 giugno 1805 l’alta Valle Argentina, insieme al resto della Liguria, venne annessa all’Impero francese sotto la giurisdizione del Dipartimento delle Alpi Marittime con capoluogo Nizza. La sottomissione amministrativa di Molini a Triora non era tuttavia gradita alla popolazione locale, che se ne lamentò presso il prefetto di Nizza, il quale, con lettera del 16 maggio 1806 indirizzata al sottoprefetto di Sanremo, espresse chiaramente e senza mezzi termini al funzionario governativo matuziano la profonda amarezza e sincera insoddisfazione degli abitanti di Molini, Andagna e Corte per la loro aggregazione al Comune di Triora, avvenuta in modo del tutto inaspettato all’epoca della proclamazione della Repubblica Ligure nel 1797 senza che nessun atto legislativo ufficiale ne avesse sancito la legittimità sotto il profilo costituzionale».

«Caduto il regime napoleonico, Molini passò nel 1815 al Regno di Sardegna, che sottopose il paese all’amministrazione della Divisione di Nizza, sempre come frazione del Comune di Triora. Nell’inverno tra il 1814 e il 1815 tutta la zona era stata infestata da branchi di lupi famelici, che sbranarono oltre duecento persone in tutta la valle, tanto che ogni comune fu costretto ad armare i propri abitanti e assediare i boschi impegnati in una caccia spietata, mentre le donne andavano a cercare la legna nei boschi scortate da gruppi armati. Nel 1824 si registrò un terribile flagello di topi, che si moltiplicarono in tale quantità rovinando tutti i raccolti ed entrando a frotte nelle case dei contadini. Nel 1831 Molini, Triora e le altre località della valle furono quindi staccate dalla diocesi di Albenga e aggregate a quella di Ventimiglia. Sei anni dopo un nuovo flagello, costituito da una terribile epidemia di colera, si abbatté sul paese, tanto che per limitare il contagio sorsero numerosi lazzaretti, mentre i medici non riuscivano a contrastare adeguatamente il morbo che continuava a mietere vittime. Dopo l’aumento spaventoso della miseria nel 1852, due anni dopo si verificò un’altra epidemia di colera, che indusse le autorità locali a disporre che nessuno poteva uscire dai confini del borgo. A causa del morbo a Andagna si registrarono ben cinquantotto vittime, mentre a Molini, che era più popolata, i decessi dovettero essere sicuramente più numerosi. Dopo la cessione della Divisione di Nizza alla Francia nel marzo 1860, Molini passò sotto la giurisdizione della nuova provincia di Porto Maurizio. Undici anni dopo il governo italiano pose fine al secolare isolamento dell’alta valle del torrente Argentina, collegata al mare da una sola antica mulattiera, con l’avvio dei lavori della carrozzabile Taggia-Triora e nel 1893 con quelli per la strada militare Rezzo-Pigna che univa Ventimiglia con Pieve di Teco e quindi con il Basso Piemonte da un lato e la piana d’Albenga dall’altro. Fu così che Molini, situata nel punto di intersezione tra le suddette vie di comunicazione, divenne un importante e strategico nodo stradale tra la Valle Argentina e la Val Nervia con indubbi vantaggi per l’ulteriore sviluppo delle sue attività commerciali con i paesi limitrofi e anche con quelli della fascia costiera».

«Uscito praticamente indenne dal terremoto del 23 febbraio 1887, che causò soltanto lievi danni ad alcuni edifici, il paese fu al centro di una vibrante campagna condotta da alcuni amministratori locali per ottenere la tanto sospirata indipendenza da Triora, per il cui conseguimento venne persino istituito un organismo apposito, un Comitato Pro Frazioni, presieduto da Gio Batta Lanza, che iniziò ad inviare lettere e petizioni a varie autorità centrali per sensibilizzare i nostri governanti sulla necessità di staccare Molini e le sue frazioni di fondovalle da Triora. Numerose rimostranze furono illustrate dal consigliere comunale Luigi Molinassi, che lamentò come numerose frazioni, tra cui Glori, Aigovo, Gavano, Agaggio Superiore e Inferiore e Perallo, non avessero neanche una scuola, il servizio farmaceutico fosse gravemente carente, a Molini non arrivasse nemmeno il filo telegrafico e quello telefonico (che si fermava a Triora), e vi fosse una gravissima disparità nella ripartizione del carico fiscale tra il capoluogo e le sue frazioni, situazione che, secondo Molinassi, era ulteriormente aggravata dal fatto che la quasi totalità dei consiglieri comunali di Triora provenisse dal capoluogo in modo tale che le varie commissioni per le tasse erano formate da elementi trioresi con esclusione di quelli delle frazioni, tranne un solo membro di Molini, il quale, peraltro, non era mai stato chiamato a partecipare ad alcuna riunione delle suddette commissioni. Si metteva inoltre in evidenza la sproporzione nella ripartizione dei consiglieri comunali (15 a Triora, due a Molini, due ad Andagna e uno a Corte) rispetto alla popolazione residente, costituita da 2475 abitanti nell’alta valle contro 3290 nel fondovalle. Il Comitato si rivolse anche al re d’Italia per esprimergli tutta l’amarezza e profonda insoddisfazione degli abitanti di Molini, Corte e Andagna per la loro dipendenza amministrativa da Triora senza alcun beneficio economico per le popolazioni del fondovalle, dove, a causa del disinteresse del capoluogo, le strade erano quasi impraticabili, il cimitero era di fatto diroccato, mentre gli abitanti di Molini erano costretti a dissetarsi nel torrente perché non si era ancora provveduto ad erogare l’acqua sufficiente per il fabbisogno del paese. Dopo aver fatto notare al sovrano che l’unico consigliere molinese a Triora non era ascoltato dagli altri consiglieri quando proponeva qualche provvedimento utile per la sua comunità, i membri del Comitato, considerata anche la notevole consistenza demografica di Molini, Corte, Andagna e le altre frazioni minori rispetto al capoluogo, supplicarono il re di esaudire le loro richieste separando Molini e le sue frazioni da Triora per istituire un Comune autonomo, distinto e indipendente. Il 12 agosto 1901 il Comitato inviò anche un ricorso al Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio per lamentare alcuni disservizi e irregolarità che erano emerse nel corso delle operazioni di censimento effettuate nel Comune di Triora nel febbraio precedente con gravi dimenticanze ai danni degli abitanti di Molini e delle sue frazioni. Nel maggio del 1902 il Comitato Pro Frazioni inoltrò un altro ricorso al prefetto di Porto Maurizio per denunciare alcune irregolarità inerenti la pubblica beneficenza con pesanti danni di natura finanziaria soprattutto per Molini, che aveva perso ben 12.500 lire, mentre ci si lamentava anche del fatto che il presidente del Consiglio comunale di Triora era stato rieletto per ben tre volte consecutive in palese violazione dell’articolo 10 della legge 17 luglio 1890. Il 6 aprile 1902 il Consiglio comunale di Triora approvò una deliberazione che negava di fatto agli abitanti delle frazioni Molini, Andagna e Corte, per il numero limitato dei loro abitanti obbligati a frequentare la scuola elementare, il diritto ad avere un’unica scuola mista sul loro territorio, dove venne anche deciso di sopprimere le scuole maschili di Molini e Andagna. Il Comitato protestò anche per la chiusura del cimitero di Agaggio Inferiore e le ormai insopportabili lungaggini burocratiche a tutto svantaggio della popolazione molinese, mentre la tassa del fuocatico, che era pari a 0,40 lire per abitante a Triora, saliva a ben 0,80 lire, ossia il doppio, a Molini. Dopo tutta questa serie di ricorsi e proteste sia presso le autorità locali che presso quelle nazionali, la questione finì all’attenzione del Parlamento, il quale, esaminate approfonditamente tutte le richieste dei Molinesi e le ragioni di Triora, decise alla fine di separare Molini da Triora con la legge n. 505 del 27 dicembre 1903, in base alla quale fu costituito il nuovo Comune di Molini di Triora, che comprendeva anche, in qualità di frazioni della nuova entità amministrativa, i paesi, già frazioni trioresi, di Andagna, Corte, Agaggio Inferiore, Agaggio Superiore, Glori, Grattino, Aigovo, Gavano e Perallo».

«Dopo gli anni della prima guerra mondiale, nel corso della quale Molini pagò un alto tributo di sangue con 67 caduti al fronte, il paese dovette affrontare uno dei momenti più tragici e drammatici della sua lunga storia durante il periodo dell’occupazione nazista e della guerra partigiana, che coinvolsero direttamente la popolazione del borgo. Tutto ebbe inizio il 3 luglio 1944 con l’arrivo in paese di un consistente gruppo di Tedeschi, mentre gran parte degli abitanti si rifugiava atterrita nelle campagne circostanti l’abitato per sfuggire alla sete di vendetta dei nazifascisti, che iniziarono infatti a sparare raffiche di mitra contro alcuni Molinesi inermi. Per evitare ulteriori lutti intervennero allora il parroco di Molini don Ferdinando Novella e il commissario prefettizio Carlo Viale, che si rivolsero al Comando germanico assicurando i Tedeschi che in paese non vi erano formazioni partigiane ma soltanto pacifici agricoltori e ottenendo nello stesso tempo la garanzia che gli abitanti tornati in paese sarebbero stati rispettati dai militari nazisti. Una volta entrata a Molini, la truppa tedesca si abbandonò però a violenti saccheggi, ruberie e devastazioni di ogni tipo ai danni delle abitazioni. Il 4 luglio si verificò tuttavia l’episodio più grave dell’intero periodo di occupazione nazifascista del paese con il barbaro massacro di tredici vittime innocenti, bruciate vive nella casa Campoverde in via San Bernardo, dove erano state portate dopo un vasto rastrellamento nei dintorni del paese, nel corso del quale erano stati fermate nove persone di Gavano, una di Sanremo, due di Corte e uno di Badalucco, tutte accomunate da un tragico destino di morte atroce e disumana. Il giorno successivo al massacro, i Tedeschi deposero alcune casse di tritolo negli scantinati e nell’interno delle abitazioni, dove avevano radunato mobili, viveri e letti che andarono incendiati grazie anche all’utilizzo di lanciafiamme. Quando il 6 luglio, dopo la partenza dei nazisti, i Molinesi fecero ritorno in paese, vi trovarono una situazione assai desolata con ben 104 case su 150 sinistrate e interi gruppi di abitazioni crollati in blocco, mentre sulle strade e sulle piazze giacevano alti cumuli di macerie. La casa canonicale era stata completamente bruciata e anche il municipio era crollato sotto l’opera del tritolo, che aveva distrutto pure l’archivio comunale; non esisteva più l’oleificio e il mulino, era andato bruciato l’edificio postale, saccheggiati e incendiati vari negozi di generi alimentari e gravemente lesionati pure l’albergo Santo Spirito, l’albergo Argentina e la rimessa automobilistica Lantrua, dove automobili e corriere per il pubblico servizio giacevano completamente arse. Dal 3 al 5 luglio furono quindi ben ventinove le persone trucidate dai nazifascisti nel Comune di Molini di Triora, dove l’8 settembre successivo sarebbe stato costituito anche il locale CLN, formato da Piero Lanteri, Antonio Lantrua, Giovanni Battista Maiano e Alfonso Volini, che collaborò attivamente con le forze partigiane operanti sul territorio molinese fino alla definitiva vittoria sui nazifascisti nelle giornate della Liberazione. Nel corso del secondo dopoguerra il paese fu al centro di un notevole lavoro di ripristino delle sue principali strutture gravemente danneggiate per cause belliche, tra i quali si segnalano l’impianto e il potenziamento della pubblica illuminazione nel capoluogo, la sistemazione delle vie interne e delle piazze del borgo, la costruzione del primo tronco della strada per Glori, il completamento della strada per Grattino, la realizzazione di un edificio scolastico ad Agaggio Inferiore, il potenziamento dell’acquedotto nel capoluogo, la costruzione di un acquedotto potabile nelle borgate rurali di Gavano e case soprane a Molini, l’impianto di un’antenna per la televisione in alcune frazioni, la sistemazione della sede municipale e la demolizione dei muri pericolanti di fabbricati danneggiati dalla guerra. Anche il settore economico si è notevolmente potenziato negli ultimi decenni grazie allo sviluppo delle tradizionali attività agricole, e in particolare quelle legate alla coltivazione degli ulivi e all’annessa produzione olearia. In forte espansione è pure il comparto turistico, incentivato da numerose manifestazioni, tenute soprattutto durante il periodo estivo con notevole affluenza di turisti, che possono avvalersi di una ricezione costituita da due alberghi con ristorante, un ristorante e quattro trattorie, dove è possibile gustare i sapori della cucina locale, ricca di specialità locali e di ottimi vini. Per l’ulteriore rilancio del turismo a Molini è tuttavia auspicabile il riutilizzo a fini turistici dei numerosi e sparsi insediamenti abbandonati, l’attenta vigilanza sulla conservazione dei valori ambientali e la salvaguardia della tradizionale ospitalità e della buona ristorazione.»