La ricostruzione

Procuratore Lari a Ventimiglia: «Non serve ammazzare, l’intimidazione sta nel presentarsi come mafioso»

Il magistrato ha raccontato la sua esperienza nei processi "Maglio 3" e "I conti di Lavagna"

Ventimiglia. «La Cassazione critica aspramente le motivazioni dei giudici di primo e secondo grado e dice quello che avevamo sostenuto sempre noi: e cioè che non possiamo pensare che al nord l’intimidazione della mafia sia uguale a quella del sud. Non possiamo pensare, ma mi sembrava che fosse un criterio logico, che per dire che al nord esiste la ‘ndrangheta, questa si deve avvalere dell’intimidazione, deve ammazzare le persone sulla pubblica piazza o tagliare le teste e farle trovare nelle strade. Si può intimidire ed essere mafiosi anche con atti meno eclatanti, utilizzando quella che è la nomea della mafia. Ormai l’intimidazione sta nel presentarsi come mafioso». Lo ha detto il procuratore capo di Imperia Alberto Lari, intervenuto a Ventimiglia in un incontro con gli studenti delle scuole superiori organizzato da Libera al teatro comunale.

Nel presentare, insieme al magistrato della Direzione nazionale antimafia Anna Canepa, il libro “Punto a capo. Storia ed evoluzione di mafia e antimafia in Liguria”, Lari ha a lungo parlato delle difficoltà incontrate nell’iter processuale di due inchieste antimafia da lui seguite a Genova, “Maglio 3” e “I conti di Lavagna”, dove gli imputati, assolti in primo e secondo grado, sono poi stati condannati in via definitiva in Cassazione per il reato di associazione mafiosa, dopo il processo di appello bis chiesto dalla corte romana che aveva condannato tutti.

«Nel libro, il dottor Michele Di Lecce, che era il mio procuratore capo a Genova – spiega Lari – Ha cercato di evidenziare quella che è stata veramente la nostra fatica per riuscire ad arrivare a una sentenza di condanna. Perché è stato un iter processuale che in certi momenti ci ha fatto veramente sentire da soli. A fronte di elementi probatori che ritenevamo univoci, andava sempre tutto storto. E quindi abbiamo fatto il processo di primo grado e sono stati tutti assolti. Abbiamo fatto il processo di Appello e sono stati tutti assolti. A questo punto abbiamo vacillato, perché quando nel sistema giudiziario hai due sentenze di assoluzione, l’ipotesi più probabile che tu devi fare è che il pubblico ministero non ha capito nulla, sta perseguendo degli innocenti e deve smetterla lì». Nonostante le difficoltà, l’ex procuratore capo di Genova e Alberto Lari hanno deciso di andare fino in fondo: «Ci sembrava che queste argomentazioni spese dai giudicanti non potessero essere accolte. Abbiamo fatto ricorso per Cassazione e la Cassazione ha scritto esattamente le stesse cose che avevamo scritto noi nel ricorso». E la Cassazione, infatti, lo scrive nero su bianco che «Le sentenze (di primo e secondo grado, ndr) sono viziate da un difetto di fondo di natura metodologica». E ancora: «Le prove sono state valutate in un a lettura parcellizzata». E poi dice che il giudice «ha manifestato un’assenza totale di qualsiasi tentativo di sintesi» e che «il giudice ha banalizzato tutti gli elementi probatori».

Leggendo parte delle motivazioni che hanno spinto i giudici della Suprema Corte a condannare gli esponenti del sodalizio criminale operante in Liguria, Lari ha definito “anacronistiche” le sentenze di primo grado e appello, «perché dimenticavano decine di anni di sentenze che dimostravano che la capacità di intimidazione del mafioso è di essere mafioso – ha spiegato il procuratore -. Dunque avevamo ragione ad insistere in questo tipo di attività». Se, come sottolineato dalla Cassazione, in base alle prove raccolte dagli inquirenti è chiaro ed evidente che gli indagati (poi imputati) appartenevano alla ndrangheta, non si può sostenere, come fatto dai giudici in prima istanza, che «essere ndraghetisti non è reato perché per essere reato devi fare il ndranghestista».

«Come si fa a dire che a Ventimiglia esiste una camera di passaggio e poi sostenere che chi ne fa parte non è della ndrangheta? – chiede Lari -Quando nel basso Piemonte c’è stata la riunione di ndrangheta e dovevano costituire un nuovo locale, partecipano dei soggetti di Ventimiglia che dicono: “Parte un’auto da Genova e un’auto da Ventimiglia”. Ti dimostro che sei ndranghetista e ti dimostro, tramite intercettazione, che sei partito da Ventimiglia e hai formato un nuovo locale. Cosa c’è di più grave che fondare un locale di ndrangheta?».

Come ricordato dal procuratore capo di Imperia, anche a Ventimiglia e Bordighera ci furono riunioni di ‘ndrangheta. Tra le più note, quella all’interno della carrozzeria di Pepè Benito, condannato poi in via definitiva per associazione mafiosa e recentemente deceduto. In queste riunioni, ha ricordato Lari, uno degli argomenti principali è quello relativo al condizionamento della politica. «”Chi sosteniamo alle elezioni?”, si chiedono – commenta il magistrato – E’ una situazione veramente particolare, perché è ovvio che il sindaco viene eletto con certi voti si crea un condizionamento di quella che poi è l’amministrazione pubblica, quindi questa è una delle cose su cui bisogna stare molto attenti». «A Ventimiglia – ha concluso il procuratore – I mafiosi ci sono ma si mimetizzano».

 

 

 

 

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