Tuffo nel passato

La storia dei Gesuiti a Sanremo: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

Le vicende della comunità dei Padri Gesuiti dal 1622 al 1814

chiesa santo stefano sanremo

Sanremo. Il tradizionale appuntamento con la storia matuziana a cura dello storico Andrea Gandolfo questa settimana è dedicato alle vicende della comunità dei Padri Gesuiti di Sanremo dal 1622 al 1814, in relazione anche al rifacimento della loro chiesa di Santo Stefano nel centro di Sanremo.

Ecco dunque il racconto dello storico Andrea Gandolfo sulla storia dei Gesuiti a Sanremo tra il 1622 e il 1814: «L’adesione della popolazione di Sanremo al clima di rinnovamento spirituale determinato dalla Controriforma appare inoltre ulteriormente confermata dal numero molto elevato di lasciti che singoli cittadini destinarono all’istituzione di nuove cappellanie soprattutto nella chiesa di San Siro, la cui canonica venne ampliata nel 1606 in seguito alla fondazione di nuovi canonicati. La stessa collegiata risultava già a metà del Cinquecento non più sufficiente a contenere tutti i fedeli, mentre la comunità reclamava l’istituzione di una parrocchia nel quartiere della Pigna, particolarmente scomoda da raggiungere soprattutto per i sacerdoti che dovevano somministrare l’estrema unzione ai moribondi. Pertanto fin dal 1601 gli amministratori comunali avevano chiesto alle superiori autorità ecclesiastiche di elevare a parrocchia qualche altra chiesa, tra le quali circolavano i nomi di quelle di Santo Stefano e di San Costanzo, ottenendo però soltanto qualche decennio dopo dal vescovo di Albenga Giovanni Pinelli il permesso, concesso il 30 aprile 1667, di conservare il Santissimo Sacramento e l’Olio Santo nell’oratorio di Santa Brigida, nonché l’autorizzazione a somministrare questi sacramenti in casi di urgenza da parte di un curato. Negli stessi anni molti privati cittadini pii e benestanti si attivarono in collaborazione con le autorità comunali per accogliere in città nuovi ordini religiosi. La particolare devozione degli abitanti per la figura di San Francesco e dell’Ordine francescano permise fin dal 1578 l’insediamento a Sanremo di una comunità di frati Cappuccini. Incontrò invece maggiori difficoltà la venuta in città dei Gesuiti, che divenne realizzabile soltanto quando furono rese note le ultime volontà del prete sanremese Alessandro De Bernardi, il quale, con testamento stilato nel maggio 1613, aveva donato tutti i suoi beni al Collegio gesuitico di Genova al fine di istituire una residenza dei Gesuiti nella città matuziana» – racconta lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Prima di stabilirsi a Sanremo, i Gesuiti dovettero peraltro affrontare anche l’ostilità degli abitanti e degli altri ordini religiosi già presenti in città, che erano nettamente contrari al loro arrivo, tanto che, quando i primi due Gesuiti giunsero nel 1615 a Sanremo, il Senato genovese, su richiesta delle autorità locali che temevano il sorgere di disordini causati dalla loro presenza, emanò un decreto che costrinse i due padri a ritornare a Genova. Pochi anni dopo intervenne però un fatto nuovo che aprì la strada all’istituzione di una comunità gesuitica a Sanremo: il prevosto Sasso rassegnò al papa la carica di rettore di Santo Stefano, chiedendo che i resti dell’antica chiesa e l’area dove era appena iniziata la costruzione del nuovo edificio venissero affidati ai Gesuiti. Il papa Gregorio XV diede quindi il suo assenso per la parte ecclesiastica con bolla emanata il 21 aprile 1622, mentre il Senato genovese diede anch’esso risposta favorevole per la parte amministrativa con lettera del 20 febbraio 1623. Ottenuta così l’approvazione ecclesiastica e quella civile i Gesuiti si insediarono subito dopo nella chiesa di Santo Stefano interessandosi attivamente alla continuazione dei lavori di ricostruzione e ristrutturazione della chiesa. Non avendo però ottenuto dal Comune i necessari finanziamenti per i lavori di ricostruzione, i padri Gesuiti abbandonarono per protesta Sanremo nell’aprile 1644. Constatata in seguito la volontà delle autorità comunali sanremesi di contribuire realmente al finanziamento dei lavori, i Gesuiti tornarono a Sanremo nei primi mesi del 1647 reinstallandosi nella chiesa di Santo Stefano e riprendendo la consueta attività religiosa e didattica» – fa sapere lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Intorno alla metà del Seicento ripresero anche i lavori per il completamento della chiesa di Santo Stefano, a cui il Consiglio comunale destinò il 17 dicembre 1650 la cospicua somma di 1000 lire all’anno per un periodo di sette anni. Il 10 maggio 1652 lo stesso Consiglio elesse il reverendo Alessandro Anselmo cassiere della fabbrica della chiesa e il notaio don Giacomo Francesco Gaudo scriba, mentre dieci giorni dopo fu deciso di ridurre le proporzioni dell’edificio sfoltendo il numero delle cappelle e degli altari da inserire ai lati della chiesa. Il 24 maggio del ’52 venne infine stabilito che si sarebbero costruiti al massimo cinque altari, costituiti dalle quattro cappelle laterali e dall’altare maggiore. Tra il 1667 e il 1668 vennero finalmente portate a termine le strutture portanti della chiesa dei Gesuiti con la posa del tetto, anche se mancavano ancora gli addobbi, i ricami e i fastosi ornamenti che nell’epoca barocca erano considerati indispensabili. Con una serie di decreti emessi dal Comune tra il 1668 e il 1678 vennero poi attuati alcuni lavori di completamento e abbellimento della chiesa, quali la tintura in bianco della volta, la riproduzione dello stemma della Magnifica Comunità di Sanremo sul soffitto dell’edificio, l’esecuzione della copia di un quadro raffigurante il martirio di Santo Stefano conservato a Genova, e l’ingrandimento del campanile, ritenuto troppo piccolo per le dimensioni della chiesa. Essendo poi state ridotte a quattro le cappelle della chiesa, iniziò una gara tra i cittadini per il loro acquisto mentre il Comune decise di finanziare un’altra opera molto richiesta dalla popolazione, la costruzione della chiesa di Sant’Antonio alla Marina, dove era sorto un borgo molto abitato. Il 19 settembre 1679 il Consiglio comunale stabilì che i Gesuiti vendessero le cappelle al prezzo maggiormente vantaggioso, il cui introito sarebbe stato destinato all’edificazione della nuova chiesa di Sant’Antonio» » – dice lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Nel frattempo i Gesuiti continuavano a svolgere la loro attività religiosa ed educativa con grande ascendente sulla popolazione, che accorreva sempre particolarmente numerosa alle cerimonie da loro presiedute. Per chiarire la portata di tale partecipazione popolare si può citare, a titolo di esempio, la missione predicata nell’aprile 1671 dal padre gesuita Poggio, che tenne un ciclo di prediche nel cimitero presso l’oratorio della Concezione seguite da un gran numero di cittadini. Negli ultimi anni del XVII secolo i Gesuiti provvidero a completare l’arredo della loro chiesa acquistando addobbi e parati e incrementando le loro scuole; in questo periodo, tra l’altro, essi si opposero al tentativo di alcuni ordini religiosi, tra cui i Barnabiti e gli Scolopi, di iniziare l’insegnamento a Sanremo, che avrebbe diminuito la loro importanza e interrotto quel monopolio sull’educazione giovanile che consentiva loro di esercitare una profonda e duratura influenza su gran parte delle famiglie sanremesi. Intanto si rendeva impellente la prosecuzione dei lavori della chiesa madre, a cui le autorità comunali si dimostravano però piuttosto indifferenti; tale trascuratezza del potere civile verso questo importante lavoro venne sottolineata con particolare vigore dal padre rettore della comunità gesuitica di Sanremo Mario Torre nel corso di una seduta del Consiglio Comunale tenutasi nel 1733. Il Comune decise allora di affidare ad una commissione composta da quattro consiglieri comunali l’incarico di esaminare attentamente le richieste avanzate dai Gesuiti. Il 20 febbraio 1734 una rappresentanza del Comune e una dei Gesuiti si riunirono in una sala del Palazzo del Commissario generale e pervennero alla stipulazione di una convenzione tra le due parti. La convenzione stabiliva tra l’altro che la chiesa avrebbe mantenuto per sempre il titolo di Santo Stefano; i Gesuiti avrebbero provveduto a proprie spese alla prosecuzione dei lavori di ristrutturazione e completamento della chiesa, compresi il campanile e il tetto; il Consiglio avrebbe posto sulla porta maggiore una lapide in marmo con dicitura stabilita dal Comune, e infine che i membri più autorevoli della comunità e del Consiglio avrebbero sempre avuto la prerogativa di sedersi in proprie banche riservate esclusivamente a loro. Il rettore della comunità Torre diede quindi il suo assenso definitivo a questa convenzione con atto notarile stilato il 25 febbraio successivo. Nel corso del Settecento i Gesuiti sanremesi assunsero inoltre una serie di importanti iniziative per ampliare e abbellire la loro sede, quali la costruzione di nuove aule scolastiche attigue alla chiesa nel 1742 e il lastricamento della piazza antistante l’edificio, realizzato nel 1764 su interessamento del rettore padre Agostino Galleano di Ventimiglia. Nello stesso tempo vennero anche compiuti importanti lavori all’interno della chiesa, tra cui l’apertura di due nuove cappelle laterali, una dedicata a San Giuseppe, e l’altra, nel 1765, alla Madonna della Speranza, voluta dal padre missionario Gerolamo Durazzo, oltre alla collocazione all’interno dell’edificio di una serie di quadri raffiguranti vari soggetti sacri. Durante la rivoluzione antigenovese del giugno 1753 i Gesuiti, e in particolare i padri Pantaleone Balbi e Giovanni Curlo, furono accusati di aver trattato la resa con i Genovesi, e anche se tale notizia non sembra fondata, essa circolò ugualmente tra la popolazione contribuendo a rinfocolare l’astio di alcuni cittadini verso l’ordine. Dopo la soppressione dell’ordine nel 1773, il Senato di Genova affidò al prete Paolo Giuseppe Bestoso il compito di stimare i beni dei Gesuiti a Sanremo, che a quanto sembra ammontavano alla somma di lire 145.091,30; in seguito alcuni padri tornarono alle loro famiglie o al loro luogo d’origine, mentre altri rimasero a Sanremo continuando a celebrare le sacre funzioni senza tuttavia ricoprire alcun tipo di carica. I Gesuiti sarebbero infine ritornati definitivamente a Sanremo nel settembre 1814, dopo la ricostituzione dell’ordine decretata da papa Pio VII il 7 agosto precedente, continuando a svolgere con la tradizionale solerzia e abnegazione la loro attività religiosa presso la chiesa di Santo Stefano fino ai giorni nostri» – conclude lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

commenta