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Sanremo, Liguria Calcio Non Vedenti: «Sport e integrazione fondamentali. Vogliamo entrare in Figc»

Il presidente Giancarlo di Malta racconta la storia del club

Liguria Calcio Non Vedenti

Sanremo. Un gruppo di amici con la passione per il calcio e per lo sport certo, ma soprattutto atleti che si allenano duramente e che hanno ottenuto grande soddisfazioni. L’Asd Liguria Calcio Non Vedenti è tra le società più importanti in Italia e non solo. Tante storie, tanti trofei e la voglia di continuare a crescere sul campo. Il presidente Giancarlo di Malta ha raccontato a Sportability Liguria la storia del club, il panorama internazionale, l’obiettivo del passaggio del calcio non vedenti alla FIGC e molto, molto altro.

Una storia che ha un’origine precisa, tra Sanremo e Genova: «Questa associazione nasce tra Sanremo e Genova. Tra i soci fondatori abbiamo Enrico Mantovani, figlio del mitico Paolo e Stefano Mantero. Fabrizio D’Alessandro, storico centralinista del Comune di Sanremo, ed io, che ero vicepresidente provinciale UISP; su richiesta specifica di Fabrizio che aveva conosciuto a Roma una squadra di calcio non vedenti, abbiamo ragionato intorno a questa possibilità. Parliamo di 23 anni fa. A livello nazionale la UISP si dedicava al calcio non vedenti e c’erano Roma, Lecce e Napoli tra le grandi e facevano attività all’interno della UISP. Fabrizio mi disse perché non facciamo una squadra in Liguria e da lì abbiamo iniziato. È arrivato in ufficio e mi fece questa domanda. Abbiamo fatto il giro delle Unioni Ciechi, passammo a Savona e poi a Genova. A Genova abbiamo incontrato Stefano Mantero. Una promessa della Sampdoria, coetaneo di Enrico Mantovani, che a 14 anni a causa di un tumore perse la vista. Si mostrò subito interessato e cominciammo al campo di Pegli. Attraverso questo campo in terra facevamo gli allenamenti e il primo con Stefano me lo ricordo come fosse oggi. Lui giocava a testa alta come un giocatore vedente mentre Fabrizio, che ha un po’ fatto la storia del calcio non vedente. Dalla bandierina del calcio d’angolo Stefano mi disse Giancarlo, mi sembra di vivere un sogno. Ha praticamente ritrovato lo stesso calcio, gli stessi schemi che aveva lasciato dopo tanti anni di difficoltà. Abbiamo fatto poi il debutto alla Fiera con le magliette della Sampdoria. Uno dei soci fondatori del Liguria Non Vedenti è Enzo Tirotta, storico capo degli Ultras blucerchiati nel periodo di Mantovani. Quindi la nostra prima maglia è stata quella della Samp. L’unica maglia diversa da quella con il nostro logo bianca e rossa è stata quella blucerchiata. Non abbiamo mai messo uno sponsor per volontà nostra, non per presunzione ma per semplice rispetto per quello che facciamo».

Un ruolo, quello del Liguria Calcio Non Vedenti, importante a livello nazionale e non solo: «Noi abbiamo tracciato la strada del calcio non vedenti, insieme alla Roma che, forse anche con il Lecce, continua ad essere l’unica nel calcio nazionale che può vantare almeno sul piano dell’attività quello che abbiamo fatto noi. Abbiamo organizzato il primo campionato europeo in Italia. Abbiamo portato i primi ragazzini dalla scuola calcio. Sono ora due punti di riferimento della Nazionale. Abbiamo offerto giocatori alla Nazionale e abbiamo ragazzi che hanno fatto sei o sette europei. Abbiamo vinto due Coppe Italia, primi ad aver fatto questa competizione federale. Abbiamo vinto uno Scudetto. Non è facile competere come territori come Roma e Napoli ma ci siamo riusciti. Forse abbiamo sempre precorso le cose. Faccio un esempio. Quando abbiamo, basandoci sul regolamento della Federazione, rispettato i tempi per il tesseramento di un ragazzino dodicenne, ci siamo tolti delle soddisfazioni, lui ha segnato anche un gol a Napoli. La Federazione ha poi però spostato a 15 anni il limite di età e lui ha dovuto smettere in quanto tredicenne. Abbiamo precorso i tempi anche nostro malgrado. Ora comunque è in Nazionale. Viviamo l’attività, la studiamo, la programmiamo e cerchiamo di lavorare al meglio».

Il cambiamento e la voglia di normalità con il passaggio alla FIGC: «Oggi è cambiata la comunicazione. Siamo tra i promotori, insieme ad altre sei società, della nascita di una Lega calcio non vedenti e del passaggio alla FIGC, osteggiato in ogni modo dalla Fispic senza una motivazione reale. Noi abbiamo chiesto più volte ma non ci è stata data risposta. Si sa che la volontà è quella di non mollare una disciplina paralimpica, nel novero delle discipline che partecipano alle Paralimpiadi. L’interesse riscontrato fin da Londra è stato incredibile, così come la prima diretta, fatta all’Europeo 2013 a Loano. La prima diretta su Rai Sport è stata fatta in Liguria a Loano. Una cosa significativa. Interessi e riscontri molto importanti, come mi ha confermato in quei giorni Luca Pancalli. Questa è una disciplina che si scontra molto con la normalità. Stiamo parlando di un calcio vero, unico. Il campo è lo stesso. Il campo è lo stesso del calcio a cinque, c’è un fuori, ci sono le stesse dimensioni e le stesse regole. La differenza principale sta nel pallone. A proposito di questo noi ne abbiamo progettato uno, marchiato da noi e studiato da noi. È uno dei sei palloni ufficiali utilizzabili per Mondiali, Olimpiadi e dintorni Dal punto di vista tecnico non possiamo dire di più. Abbiamo sempre da correre e da cercare la quadratura del cerchio per portare avanti un’attività difficile».

Il significato dell’obiettivo FIGC: «Abbiamo traghettato, insieme alle altre società, il calcio non vedenti dall’Ente di Promozione Sportiva UISP alla Federazione e alla nascita della Nazionale. Da Fisd a Cip ai dipartimenti, fino alle varie federazioni. L’obiettivo di tutti, come sottolinea sempre Luca Pancalli, è la fine del Cip, nel senso che lo sport è uno ed unico. Lo sport è un linguaggio universale. Non capisco come il calcio non vedenti non possa essere in FIGC. Per calcio, basket e atletica non sono ancora passati nell’ordinarietà. I più avanti nell’argomento sono gli amputati. Oggi ci siamo veramente decisi a ripercorrere il passaggio fatto in passato per entrare in FIGC, passando dunque alla normalità. Per la Figc gestire dal punto di vista gestionale è poca cosa, è tanta cosa dal punto di vista prettamente tecnico».

A marzo il corso indetto dalla FIGC per tecnici per la disabilità nel calcio: «Un paradosso. A marzo Albertini ha indetto un corso di allenatori per disabili della FIGC, ricevendo 700 iscrizioni circa per essere tesserati nel calcio disabiliti. Ne hanno selezionati 60 e oggi ci sono 60 tesserati FIGC per calcio disabili, nonostante la non presenza del calcio disabili in FIGC. Direi che c’è poco da aggiungere. Per le Federazioni paralimpiche togliere il calcio non vedenti sarebbe un grave perdita e riflettori sarebbero dirottati altrove».

Di Malta racconta la prima ripartenza dopo il Covid-19, sottolineando l’approssimativa organizzazione della Federazione: «Settembre 2020. Finale Scudetto a Roma, una sorta di torneo a quattro. Noi abbiamo dovuto presentare tutti i sierologici come tutte le altre squadre. Noi ci siamo trovati nello stesso nostro albergo tutti i partecipanti all’Assemblea della Federazione, più o meno duecento persone. Non avevamo alcun tipo di garanzia sull’esistenza di un sierologico per loro. Finita tutta la manifestazione, comunque, siamo stati gli unici a non aver avuto il Covid. Firenze, Crema e Roma avevano preso il Covid. Il problema fu la gestione. Noi abbiamo scoperto delle loro positività dopo più di una settimana. Nessuno si era degnato di avvisarci, lo abbiamo saputo in un incontro telematico. Ho chiamato personalmente Pancalli per chiedergli di adoperarsi e denunciando la cosa. Erano periodi in cui tutti avevano da imparare quindi non colpevolizzo nessuno ma la prima cosa da fare è informare circa la diffusione. Allora la fase era ben diversa da ora. Noi saremo stati anche fortunati, però abbiamo preso integratori preventivi, siamo stati attenti e non abbiamo girato per Roma come altri. Ce lo siamo imposti. Da quell’esperienza lì tutti abbiamo chiesto garanzie alla Federazione. Non basta trincerarsi dietro ai protocolli generali nazionali. Serve qualcosa di specifico per i non vedenti. Uno studio più dettagliato per la nostra disciplina e i nostri atleti. Noi saremmo dovuti andare al centro paralimpico a Roma Le tre Fontane per una finale Scudetto senza utilizzare lo spogliatoio, questo stando alle norme. Noi ci siamo attivati direttamente con la presidenza del Cip per spiegare quanto fosse impossibile una cosa del genere. Noi avevamo anche comunicato che ci saremmo occupati della sanificazione. A quel punto ci sono stati messi a disposizione gli spogliatoi. Quattro semplici spogliatoi non trenta. Insomma una gestione federale piuttosto approssimata. Di fronte alla salute non si può non vedere queste cose».

Le prossime tappe e l’appuntamento di dicembre: «Quest’anno non c’è un campionato. C’è un’attività parallela che, sperando non arrivino novità sulla quarta ondata, noi stiamo preparando. Il 10-11-12 dicembre c’è un torneo organizzato a Sanremo e probabilmente giocheremo con le maglie della Sanremese, proprio per avvicinarci idealmente alla FIGC. Ci saranno Roma e Firenze, sto anche aspettando una risposta da una squadra svizzera. Il venerdì faremo un pomeriggio dedicato ai giovani, faremo uno stage dedicato ai giovani. Arriveranno ragazzini da Cuneo, Parma e Roma. Noi ne abbiamo un paio nell’imperiese. Ovviamente ci piacerebbe approfondire il discorso del femminile».

Il presidente insiste su un punto specifico legato a questa disciplina: «C’è un bisogno di un contatto puro e diretto con lo sport, soprattutto nella nostra disciplina. Bocciardo è un esempio fondamentale ma per i non vedenti è diverso. Serve un contatto puro. La famiglia vuole come primo obiettivo la protezione del ragazzo. Io so di ragazzi che non si sono mossi fino ai 15 anni per paura dei genitori, paura che si facessero male. Ho avuto a che fare con ragazzi di vent’anni bellissimi fisicamente ma che non sapevano nemmeno camminare. Quindi è una disciplina che ha bisogno di forti contatti diretti e di porte aperte. Senza se e senza ma. Io ho fatto giocare ragazzi non vedenti con piede torto. Hanno avuto la soddisfazione di correre sul campo. Sono tutte cose possibili. Bisogna farlo capire ai genitori e all’Unione Ciechi. Bisogna lavorare sui rapporti puri. Bisogna fare in modo di capire che è una cosa da condurre in maniera diretta. Telefonare al genitore direttamente è cosa diversa che dire all’Unione, noi siamo lì avvisa tu i genitori ecc ecc. Non va bene. Noi vogliamo andare e andiamo dai genitori per far loro capire quello che facciamo, mettendoci la faccia. Il genitore, fino a quando non si rende conto che questo è possibile, ha paura. Può darsi che con una giusta informazione, una serie di attività e conoscenze si possa raggiungere questo obiettivo. L’Unione Ciechi si preoccupa di bisogni primari, al resto ci deve pensare l’organizzazione sportiva, dalle Federazioni alle associazioni. Un giorno mi ha contattato un insegnante di educazione fisica che mi chiese di un pallone per far giocare una ragazza non vedente vogliosa di provare sport ma a lui mancava il supporto della famiglia spaventata e soprattutto gli strumenti necessari per provare. Poi ci siamo visti e abbiamo avuto a scuola riscontri buonissimi. Lei ha trovato il muro della famiglia, un muro di protezione ovviamente ma con un po’ di ignoranza dovuta alla paura. Se si forniscono gli strumenti giusti ai genitori si può diffondere la conoscenza e abbattere quel muro di paura. Serve lavorare su questo. Di possibilità e cose da fare ce ne sono molte».

La centralità dello sport e dell’agonismo: «Io credo che si possa fare una squadra sportiva per non vedenti per ogni regione. Questo sarebbe un progetto importante. Per me fare sport è una cosa seria. Fare sport significa entrare in competizione con il vicino e con se stessi. Nel momento in cui ci si mette in gioco e ci si iscrive in una federazione bisogna essere seri. Qualunque tipo di federazione fa attività competitiva. Fare agonismo non vuol dire strapparsi i capelli. Fare agonismo significa fare sport compiutamente e per davvero. Noi facciamo anche aperitivo e quarto tempo però quando ci si mette le scarpette si fa sport. Non vorrei che lo sport paralimpico si cominci a cavalcare perché fa audience e non per contribuire e conoscere l’aspetto tecnico».

Alcune iniziative che permettono ai normodotati di conoscere e ricevere qualcosa: «Fare sport non è facile. Nel caso dei non vedenti la disabilità tende a creare personalismi. Noi facciamo anche le cene al buio. Quelle vere. Guardandosi intorno non si vede davvero nulla. A servire è chi vive sempre in una condizione del genere. Il piatto è preparato alla perfezione. Non si è lì per dare qualcosa, si è lì perché si riceve qualcosa. Si ha modo di capire se stessi, quante possibilità hai. Io ho fatto una bellissima esperienza a Pegli con la Levante. Prendevo due o tre ragazzi tra i normodotati e facevo attività con ragazzi disabili. Erano esperienze bellissimi che ancora mi commuovono. Sentirsi dire da alcuni ragazzini normodotati che avevano imparato qualcosa mi emoziona ancora molto. Si vede l’impegno che sprizza da tutte le parti. Da questi ragazzi ricevi sempre qualcosa, e le cene al buio lo dimostrano. L’inclusione non è fantasia, è qualcosa di veramente forte e si riceve. Noi facciamo queste cose da anni e per me ora sono diventato normalità. I termini disabili, handicappato, non vedente non fanno parte del mio vocabolario. Vedere uno senza braccia nuotare, o sciare su una gamba, cancella ogni differenza. Non si può definire disabile».

Infine la convinzione che in Italia serva più concretezza perché i mezzi fisici ci sono: «Al genitore diciamo sempre viviamo questa esperienza e queste attività come una cosa reale e concreta di miglioramento. Nessuno potrà restituire vista o arti o simili ma si possono ottenere grandi risultati perché la persona resta. Nonostante tutti gli sforzi fatti da Pancalli in questi anni, quello che in Inghilterra destina a livello economico allo sport per disabili è cinque volte superiore all’Italia. Noi siamo tra i fondatori di molte realtà ma siamo stati superati da chi è arrivato dopo di noi. Probabilmente siamo incapaci nell’organizzazione e nella progettazione. Siamo fenomenali a fare le farse ma nel concreto ci perdiamo. Gli altri corrono e noi passeggiamo dopo cinque minuti. E non è una questione fisica. Assolutamente no. E anzi dobbiamo spingere per entrare in FIGC».

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