Diritti delle bambine

Bambine ritrovate nelle pagine dell’Archivio di Stato ad Imperia

Le bambine ritrovate negli archivi sono tante, ciascuna con una storia personale diversa, alcune con un lieto fine, molte altre con una fine.

Imperia. Oggi, nella giornata che l‘Unicef dedica ai diritti delle bambine e delle ragazze, rendiamo protagoniste le storie di bambine abbandonatane nelle carte dell’Archivio di Stato di Imperia, nella mostra “Donne ritrovate” che ha avuto luogo ieri. Nell’ambito delle “domeniche di carta” promosse dal Ministero della Cultura la direttrice dell’archivio di Imperia, Francesca Pitzus e l’archivista Arianna hanno indirizzato l’evento su un argomento delicato e toccante: la storia delle bambine abbandonate e i documenti raccolti a partire dal 1700.

Un’esposizione di documenti originali, in cui dai verbali del XIX secolo si ricostruisce la situazione dei minori abbandonati, i cosiddetti “esposti”, dei loro “allevatori” ovvero chi oggi chiameremmo tutori e delle loro, talvolta brevi, storie.

E’ noto che ad Oneglia fosse operativa, nel 1700, una congregazione di carità che si occupava delle persone in estremo bisogno di aiuto. Il “brefotrofio”, ovvero l’orfanotrofio della città, esisteva da molto prima e la sua data non è ancora identificabile. I bambini dell’epoca venivano abbandonati, come succede ancora oggi, per i motivi più disparati. La versione settecentesca della “culla per la vita” era una ruota in legno in cui le mamme appoggiavano i bambini e suonando una campana auspicavano che venissero accolti dall’ente preposto. Gli esposti venivano spesso abbandonati anche al di fuori delle case delle balie e presso le chiese, talvolta senza nemmeno un indumento, talvolta con un segnale di riconoscimento che permettesse alle mamme di poterli riprendere, un giorno.

Le bambine ritrovate negli archivi sono tante, ciascuna con una storia personale diversa: alcune con un lieto fine, molte altre con una fine.

Il concetto di bambine abbandonate era legato a formalità più che all’umanità. Tanto è che a chi le “consegnava” alle autorità veniva rilasciata una ricevuta. I cognomi degli orfani non hanno mai trovato grande dignità tra coloro che burocraticamente dovevano fornirgli aiuto. Fino al 1825 è stata l’epoca dei “Diotiassita”, “Speraindio” e altri simili appellativi. Negli anni successivi il ventaglio si aprì alla discrezione del burocrate di torno e i cognomi potevano essere legati a qualsiasi cosa: dal santo del giorno, al primo oggetto sulla scrivania che lo scrivente osservava e in alcuni casi, alla professione (non sempre nobile) della mamma che aveva abbandonato il minore.

In una giornata dedicata alla promozione dei diritti delle bambine e delle ragazze è corretto che trovino voce e vengano ritrovate anche tutte le bambine “abbandonate” di Imperia e che le loro storie, dove non sempre i diritti valevano, siano custodite.

 

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