Il racconto

Omicidio-suicidio a Ventimiglia, la mamma di Antonella Multari: “Tutelate le donne”

Sharon Micheletti aveva denunciato l'ex a marzo per minacce

Ventimiglia. “La legge sullo stalking, così come è, non serve a niente”. A dirlo, il giorno dopo l’ennesimo femminicidio che ha sconvolto, ieri, il quartiere di Roverino, a Ventimiglia, è Rosa Multari: la madre di Antonella, 33 anni, uccisa il 10 agosto del 2007 dall’ex fidanzato Luca Delfino.

Nel pomeriggio di ieri, vittima di un uomo, è stata Sharon Micheletti, 30 anni. La giovane donna aveva conosciuto il suo assassino Antonio Vicari anni fa. Una relazione finita da temo, raccontano i conoscenti di Sharon. Lei, che viveva a Bordighera e lavorava in un ristorante della Città delle Palme, con Vicari aveva chiuso da 4 anni. Poi lui era finito in carcere, arrestato dopo la denunce della moglie. A marzo era tornato a cercare Sharon, che lo aveva denunciato, due volte dicono gli inquirenti, per minacce. Non risulta che l’avesse mai aggredita fisicamente.

“Tante persone ancora oggi dicono che è stato grazie a mia figlia che è nata la legge sullo stalking – dice Rosa Multari all’Ansa – Ma così com’è questa legge non serve a niente: è inutile allontanare la persona nel raggio di trecento o cinquecento metri. Dovrebbero proteggere chi denuncia, individuare queste persone e non lasciarle libere, come nel caso di mia figlia. Malgrado le telefonate registrate e tutte le denunce che abbiamo presentato, non è servito a niente e le donne vengono uccise come galline”.

La legge, nata dal femminicidio “pilota”, quello della sua Antonella massacrata a coltellate in centro a Sanremo dall’ex che non si rassegnava ad averla persa, troppo spesso non è sufficiente a salvare la vita delle donne.

Sharon aveva denunciato Vicari in due occasioni: una prima volta il 28 marzo scorso e una seconda a inizio giugno. “Ma così come erano descritte – dichiara il procuratore di Imperia Alberto Lari – Sembrava trattarsi di fatti isolati, non sembrava emergere che fosse perseguitata, tanto è vero che gli atti dei carabinieri non parlavano di stalking”. Eppure c’è chi, a Ventimiglia dice che Vicari da tempo perseguiva la sua vittima, che la pedinava e che si era presentato sia sotto casa della donna che al lavoro, minacciando di uccidere lei e il suo bambino. Si parla della pistola, una semiautomatica calibro 7.65, quell’arma usata per uccidere e per uccidersi, di cui c’è chi dice “si sapeva, ce la mostrava”, eppure nessuno ha mai detto nulla alle forze dell’ordine. Quella pistola che lui, Antonio Vicari, non avrebbe potuto detenere e sulla quale i carabinieri, coordinati dal sostituto procuratore Maria Paola Marrali e dal procuratore capo Alberto Lari, stanno compiendo accertamenti. A quanto emerge, quando per la seconda volta Sharon si era presentata dai carabinieri, aveva fatto presente che, dopo due mesi di tranquillità, Vicari l’aveva nuovamente incontrata e minacciata. Sul contenuto delle minacce al momento vige il massimo riserbo.

“Quando ho sentito cosa è successo a questa povera ragazza sono rimasta di ghiaccio – dice Rosa Multari -. Tutti i giorni si sente parlare di donne uccise e se non si prendono seri provvedimenti, continueranno a morire come formiche”. “Tutelate le donne che denunciano, non lasciatele in balia di sé stesse e di chi le vuole ammazzare – aggiunge la donna – Quando andavamo a denunciare, rispondevano di stare tranquille, perché intanto sapevano fare il proprio lavoro e che avevano il fiato sul collo di Delfino, quando invece era Delfino che aveva il fiato sul collo di mia figlia”.

Di Sharon oggi a Ventimiglia ricordano il sorriso e la voglia di vivere, per se stessa e per quel bimbo di pochi anni che amava. Di Antonio Vicari, invece, l’amore con cui ha accudito il padre, morto da poco, negli ultimi giorni della sua vita.

“Lo conoscevo fin da bambina – dice una donna, che vive in via Tenda a pochi metri da dove è avvenuto il dramma – Non mi sarei mai aspettata una cosa così, non posso di certo dire che fosse una cattiva persona. Ultimamente si vedeva spesso qui, a Roverino. Veniva ad accudire il padre, morto pochi giorni fa: un uomo che qui tutti chiamavamo “nonno Vicari” e che a Roverino era un’istituzione”.

Forse la morte del padre Domenico ha scatenato la rabbia di Antonio, che negli ultimi anni aveva vissuto numerose tragedie: dalla perdita del figlio Christian, morto precipitando in una scarpata a 17 anni, nel 2001, alla morte della moglie. Poi l’amore per Sharon, di cui non accettava la fine. Ucciderla, secondo i conoscenti, era diventata la sua ossessione. E lo ha fatto, ieri, colpendola a bruciapelo con una pistola. Poi è corso verso il bar Azzurro, dove l’amico con cui Sharon era in macchina si era fermato a comprare le sigarette. Con la pistola ancora in pugno è arrivato fin sulla porta, ma è stato fermato dalla titolare, che lo ha implorato: “Non uccidermi”.

E’ corso verso il fiume, entrando dal cancello che dà sul parcheggio di via Tenda, davanti alla chiesa delle Gianchette, e si è sparato. Aveva una pistola vera, non quelle giocattolo che ha pubblicato sul suo profilo Facebook vestito da “Rambo”. Quella pistola che è il giallo di una storia che sembrava già scritta: l’unico tassello ancora da chiarire nel dramma di due famiglie distrutte dal dolore.

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