L'intervista

Pasqua e coronavirus. Vescovo di Ventimiglia-Sanremo Suetta: «Scopriamo il volto autentico della nostra vita»

«Dobbiamo avere la fiducia e pure la consapevolezza che Dio ci conduce anche in questo momento»

Sanremo. Così come la vita di migliaia di persone, anche quella del vescovo della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, monsignor Antonio Suetta, è cambiata molto a causa dell’emergenza Covid-19. Ma in virtù del ruolo di guida spirituale che ricopre, il vescovo continua a dialogare, seppur a distanza attraverso il sito internet della diocesi, con i fedeli e con tutte le persone, che in questo momento particolarmente difficile, sentano il bisogno di una parola di conforto.

Lo abbiamo raggiunto, tramite Skype, per un’intervista che vi proponiamo integralmente.

Distanziamento sociale. «La mia vita è cambiata come quella di tutti, penso – ha affermato monsignor Suetta – Nel senso che l’aspetto più impattante è quello delle forti limitazioni per quanto riguarda gli incontri, i contatti con le altre persone, il distanziamento sociale.
Celebro, come tutti i sacerdoti, la messa tutti i giorni nella cappella dell’episcopio, solo in alcune occasioni mi reco in cattedrale, come farò per i giorni del triduo pasquale».

Celebrazioni di comunioni e cresime. Come disposto dal decreto del premier Conte, è necessario evitare assembramenti. Per questo, anche comunioni e cresime non potranno essere celebrate secondo il solito calendario. «Per quanto riguarda le comunioni, i parroci si organizzano come meglio credono – ha spiegato il vescovo -. Per quanto riguarda le cresime, dovremo vedere poi insieme, visto che è necessaria la mia presenza. Mi piacerebbe anche in qualche zona organizzare qualche celebrazione mettendo insieme gruppi di parrocchie. Sarebbe molto bello, una volta tornata la normalità, organizzare qualche festa con i nostri ragazzi e i nostri catechisti.

Quaresima e Quarantena. «Per noi questa Quaresima è strana perché in genere il tempo della Quaresima è un tempo non solo di particolare intensità spirituale, ma è anche un tempo in cui tutte le parrocchie moltiplicano gli incontri di preghiera e di catechesi. E allora questa Quaresima appare strana perché tutte queste attività che la fanno fiorire sono impedite. Però, come dicevo, non è poi così strana, perché il termine Quaresima ha la stessa radice numerale del termine Quarantena. Quaresima è un periodo esatto di 40 giorni che ricorda i 40 anni di Israele nel deserto e poi i 40 giorni di Gesù di tentazione nel deserto. Quarantena è un termine sommario, simbolico, che indica comunque un periodo di isolamento. In maniera molto curiosa, e io direi non casuale ma provvidente, questi due aspetti quest’anno coincidono. E questo può essere molto significativo. Sia per noi credenti che siamo chiamati a interrogarci su gesti che ci appartengono. Per chi invece non avrebbe pensato di fare la Quaresima, perché non crede, non pratica o semplicemente è distratto, questo periodo costituisce un invito ad approfondire questo tema, cioè il senso della propria esistenza. Allora noi sappiamo da una espressione molto bella dell’apostolo Paolo che è nella Lettera ai Romani che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” o tradotta anche “al bene di coloro che Dio ama”, che vuol dire che Dio si serve di tutte le situazioni che l’uomo attraversa, anche quelle più problematiche, per riempirle della sua presenza, della sua assistenza e anche di una capacità che vuole donare all’uomo di decifrare il senso delle cose».

E ancora: «Dobbiamo avere la fiducia e pure la consapevolezza che Dio ci conduce anche in questo momento: questo è il senso profondo anche del tempo della Quaresima».

L’impossibilità di dirsi addio. «Purtroppo la necessità di prevenire il contagio non consente di fare visita ai propri cari quando questi sono ricoverati, non consente di stare accanto ai propri cari nel momento del trapasso e non consente neppure di celebrare in maniera degna il funerale. Questo capisco che è un dolore che si aggiunge al dolore grande di perdere un proprio caro», ha detto il vescovo, annunciando ciò che sta facendo la diocesi per chi lotta tra la vita e la morte in ospedale e per confortare i parenti: «Ogni giorno il cappellano dell’ospedale dà, in ospedale, l’assoluzione generale per tutti i malati di Covid-19 e per gli altri malati in pericolo di vita che per queste ragioni non possono essere avvicinati dal sacerdote. Io ogni giorno, e ho invitato anche i sacerdoti a fare altrettanto, celebro la messa, quando la liturgia lo consente, con il formulario degli agonizzanti per affidare al Signore tutti coloro che sono soli in questo passaggio definitivo della vita». E annuncia: «L’altra cosa che vorrei dire è che quando si concluderà questo tristissimo tempo di sofferenza, organizzeremo nelle varie parrocchie delle messe di suffragio per ricordare tutti coloro che sono morti in questo periodo e che non hanno potuto avere il funerale. Lo potremmo fare anche esponendo la loro fotografia e pronunciando il loro nome durante la preghiera».

Tempo di riflettere per ritrovare l’essenziale. «Molto spesso abbiamo idea che per dare consistenza alla nostra vita occorra aggiungere qualcosa. Questo noi lo diciamo prevalentemente dal punto di vista materiale: abbiamo bisogno di spazio, di tempo, di denaro e via dicendo… e pensiamo che il possedere molto garantisca meglio la sicurezza della nostra vita, accorgendoci spesso, con grande delusione, che tutto questo insieme di cose costituisce piuttosto una zavorra che un aiuto. Molte volte abbiamo la stessa idea anche dal punto di vista spirituale: cioè pensiamo che per rendere ricca la vita occorra aggiungere tante esperienze, tante situazioni. E’ vero che tutte le cose che abbiamo modo di incontrare ci arricchiscono e fanno più bella la nostra esistenza, ma è altrettanto vero che questo contorno enorme ci impedisce di arrivare all’essenziale. E allora occorre fare come si fa con una pianta, per farla crescere bisogna arieggiarla, sfrondarla, potarla, operazione anche dolorosa. Questo talvolta accade nelle situazioni della vita: perdiamo delle cose che noi ritenevamo essere le nostre sicurezze, e da questo dolore nasce, se noi guardiamo con attenzione, una consapevolezza nuova, cioè riusciamo a puntare lo sguardo e a scovare il tesoro che abbiamo e che ci appartiene e che è, appunto, questa capacità di non rinchiuderci in se stessi, ma di comprendere che è soltanto nella condivisione, nella solidarietà, nel rispetto, nell’amore dell’altro (il papa lo ha chiamato l’amore creativo), è soltanto in questa dimensione che noi possiamo dare vera consistenza e volto autentico alla nostra vita».

La Pasqua con il Covid-19. Anche il vescovo Suetta abbraccia l’appello di Papa Francesco che ha invitato i fedeli a trascorrere la Pasqua pregando in famiglia. «Questo è significativo perché è il modo in cui anticamente è nata la Pasqua. Perché la Pasqua è nata nelle case degli ebrei che erano schiavi in Egitto e il Signore per mezzo di Mosè aveva dato quest’ordine, di fare determinati gesti che erano funzionali alla partenza, ma che poi sono rimasti nella memoria, nella fede, nella preghiera di Israele come gesti liturgici, gesti rituali, e di viverli in famiglia. E così quest’anno noi, non potendo radunarci nella famiglia più grande che è la nostra parrocchia, rimaniamo nelle nostre case e soprattutto attraverso la preghiera, attraverso l’ascolto della parola di Dio, dobbiamo scoprire il valore, il tesoro, che è racchiuso nelle nostre relazioni di famiglia, con gesti semplici, scoprendo i lati del nostro carattere, imparando a dirci grazie, imparando vicendevolmente a riconoscere i nostri pregi, imparando e toccando con mano quanto noi siamo preziosi, necessari, importanti, per le persone che abbiamo sempre accanto».

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