Andata e... ritorno?

Cervelli in fuga, la storia di Elis. Da Sanremo alla Silicon Valley per progettare le reti cloud del futuro

Laureatosi ingegnere informatico, ha spiccato il volo per gli Stati Uniti

elis america

Sanremo. Un cervello italiano di origini albanesi che finisce a lavorare negli Stati Uniti. E’ la storia del giovane sanremese Elis Lulja, classe 1990, nato in Albania e trasferitosi a Coldirodi con la famiglia all’età di quattro anni. Lui è uno dei tanti, troppi, cervelli in fuga che formati nelle università nazionali, finiscono per espatriare a causa della mancanza di prospettive lavorative.

Ad assumerlo dopo il primo colloquio presso la sua sede di San José, nella Bay Area di San Francisco  comunemente chiamata “Silicon Valley” – è stata niente meno che la Cisco, multinazionale amaricana leader nel mondo per la realizzazione di apparecchiature specializzate in networking. Elis, che ha frequentato da ragazzo le medie Pascoli e, in seguito, il liceo Cassini, prima di volare negli USA si è laureato ingegnere informatico. A consigliargli di espatriare, ironia amara della sorte, è stato il suo stesso professore dell’università.

«Sono negli Stati Uniti da quasi un mese – spiega a Rivieara24.it – e lavorerò, per almeno un anno, per Cisco, leader mondiale nella fornitura di apparati di networking». Come sei arrivato negli States? «Mentre lavoravo alla mia tesi, incentrata su un argomento che si avvicina tantissimo alle mansioni di cui mi occupo adesso, il mio relatore viene contattato da un suo caro amico che lavora in America, proprio a San José, per sapere se conosceva un ragazzo con un po’ di esperienza nel campo della sicurezza dei servizi cloud. Il mio professore ha consigliato me perché avevo maturato un po’ di esperienza nel campo e il mio tempo di integrazione ovviamente sarebbe stato più breve. Qualche giorno dopo il colloquio via internet sono stato contattato dallo staff dell’azienda che mi ha comunicato, con mio grande stupore, che ero il loro candidato ideale. Non ringrazierò mai abbastanza il prof che ha suggerito il mio nome».

Com’è nata la tua passione? «Da piccolo mi sono sempre piaciuti i computer e amavo aiutare le persone a risolvere gli stessi problemi quotidiani che capitavano a me. Pensavo a come poter rendere le cose più semplici automatizzando tutto. Quindi, anziché scrivere guide online, ho scelto di diventare ingegnere informatico. In questo modo potevo progettare direttamente io qualcosa che avrebbe potuto aiutare gli altri.

In questi anni ho creato e partecipato a parecchi progetti informatici, spaziando da applicazioni internet a progetti universitari, passando per applicazioni mobile e arrivando, infine, alla programmazione di reti e infrastrutture che, insieme, creano quello che viene comunemente chiamato “cloud”.

Nello specifico, e semplificando parecchio, mi occupo di sicurezza in ambiente cloud: un amministratore di rete definisce delle regole di sicurezza. Per esempio, impedire a una certa parte dei suoi utenti, come i visitatori/ospiti, di accedere a un certo database pur continuando a consentirne l’accesso ad un altro gruppo».

La tua è l’ennesima storia di un ragazzo della Riviera che finisce a lavorare fuori provincia. Come vedi il Ponente ligure da laggiù? «Sarebbe abbastanza scontato dire che mi manca la mia famiglia, la mia fidanzata e i miei amici, o il cibo italiano. Però, quello che mi manca di più della mia Sanremo è il poter uscire e raggiungere tutto a piedi, e sopratutto vedere il mare, quello che facevo praticamente tutti i giorni. Qui è molto difficile andare ovunque senza avere la macchina e la vita sembra molto frenetica, ma sono sicuro che prima o poi non ci farò più caso».

Cosa consiglieresti ai tuoi amici con cui hai condiviso il percorso di studi? «A chiunque abbia fatto i miei studi consiglio, ovviamente, di dare il massimo sui libri e di avere una mente aperta all’apprendimento. Con il primo concetto intendo dire che bisogna imparare a sacrificarsi: è ovvio che uscire la sera a bere o a ballare è più divertente che stare a casa a studiare per un esame, ma la priorità dovrebbe essere sempre ciò che “ti rende migliore”, secondo me. E poi, bere dopo aver passato un esame è molto più gratificante. Mentre aprire la mente all’apprendimento significa essere pronti a imparare qualcosa di nuovo in ogni ambito: molte delle cose che so ora di informatica (e non) le ho imparate da solo, non me le ha insegnate nessuno».

Hai da raccontarci un aneddoto della tua nuova esperienza? «Ci sono molte cose che devo ancora capire degli Stati Uniti. Tipo per quale assurda ragione le monete da 10 centesimi sono più piccole di quelle da 1 e da 5. O perché il semaforo dei pedoni mostra una mano rossa che lampeggia e un conto alla rovescia a destra quando i pedoni possono passare senza che le luci diventino verdi come accade in Italia: la prima volta sono rimasto fermo per 5 minuti buoni al semaforo credendo che il segnale volesse dire di aspettare per qualche secondo prima di poter passare… Invece c’è un’altra cosa che ho capito nel giro di pochi minuti: più è grande la scritta “ristorante italiano” e meno italiano è il ristorante».

Aggiungeresti altro? «Devo tutto ai miei genitori e alle mie sorelle. Senza di loro non sarei quello che sono, non solo dal punto di vista professionale ma anche umano».

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