Il caso

Imperia, operazione ‘Patroclo’. Migranti trattati «come bestie» da gestori coop. Indagato anche vice prefetto

Centri di Vallecrosia e Sanremo nel mirino di Procura e Guardia di Finanza

Imperia. «Centoventi migranti per 30 vuol dire che fanno 3600 euro al giorno. Per 31 giorni sono 111mila euro al mese». Le intercettazioni compiute dalla Guardia di Finanza di Imperia e inserite nel fascicolo ‘Operazione Patroclo’ in mano al procuratore aggiunto Grazia Pradella parlano chiaro: per i soci occulti della cooperativa Caribu, che gestisce due centri di accoglienza per migranti in attesa di protezione a Vallecrosia e Sanremo, gli stranieri erano solo una cosa, macchine per fare soldi, ai danni dei contribuenti italiani.

Indagini complesse, iniziate a fine 2017 e proseguite nel 2018, che hanno portato stamani a quattro arresti e tre indagati in stati di libertà e che hanno permesso di sgominare un’associazione per delinquere, che faceva capo a una coop, quest’ultima accusata di trattenere dal 50 al 70 per cento dei fondi statali destinati ai migranti ospitati in due centri di accoglienza di Sanremo e Vallecrosia, in cui i migranti, come scrive il gip che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare, «venivano trattati come bestie». Il blitz, scattato stamani all’alba, ha portato anche al sequestro di 1,3 milioni di euro. In manette sono finiti Gianni Morra, 62 anni, residente a Cuneo, considerato il personaggio chiave dell’organizzazione criminosa; la sua compagna Emanuela De Mita, 48 anni, di Asti; Guido Tabasso, 67 anni, avvocato di Torino, col ruolo di consulente e Antonella Morra, 58 anni, residente a Cuneo. Mentre per Gianni Morra, De Mita e Tabasso, l’accusa è di associazione per delinquere finalizzata, a vario titolo alla truffa e alla frode e altri reati; per Antonella Morra, l’accusa in concorso è quella di autoriciclaggio. Indagati in stato di libertà: Alessandra Lazzari, alto funzionario all’epoca dei fatti della Prefettura d’Imperia, ora trasferita a Torino ed accusata di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e due commercialisti del Torinese incaricati di tenere la gestione contabile dei soldi proventi della frode che venivano investiti in alcune società di famiglie. Al centro delle indagini, decollate nel 2017, la cooperativa sociale Caribu, di Cuneo, che gestiva i due centri, della quale Gianni Morra, De Mita e Tabasso vengono considerati soci occulti.

Fatture e numeri ‘gonfiati’. Con i soldi ‘risparmiati’ dalle gestione dei migranti, costretti a mangiare frattaglie perché «costano meno del pollo» Emanuela De Mita si è comprata anche una pompa d’acqua per la propria piscina. La fattura, poi, l’ha inviata direttamente alla Prefettura, addebitandola alle spese per gli stranieri. Con altri fondi, poi, ha acquistato biancheria intima per se stessa. Per incassare più soldi, inoltre, l’associazione criminale inviava anche sei o sette volte la stessa fattura alla Prefettura, che la pagava ogni volta. Altro sistema adottato: quello di ‘gonfiare’ il numero dei migranti per ricevere più soldi dallo Stato. La sovrafatturazione avveniva grazie all’interposizione di una serie di società di capitali, tra cui la Libra srl, di Cuneo, utilizzate per drenare dai conti della cooperativa quasi il settanta per cento dei fondi erogati dal ministero dell’Interno. In particolare, l’immobile acquistato dai due fratelli Gianni e Antonella Morra, tramite mutuo, veniva affittato alla Libra srl, sempre di proprietà degli indagati, per trentottomila euro all’anno (pari al premio annuale del mutuo), a fronte di una richiesta di rimborso alla Prefettura di quasi il triplo dell’importo, pari a novatamila euro.

Colonnello Alfonso Ghilardini

«Abbiamo scoperto un sistema collaudato molto elaborato per cui due centri di accoglienza migranti in attesa di protezione venivano gestiti con metodi truffaldini e contrari a quello che è il senso di umanità delle cooperative onlus che dovrebbero badare non solo all’accoglienza ma anche al benessere fisico e psicologico dei migranti. In questo caso tutto ciò non è avvenuto», dichiara il procuratore aggiunto di Imperia Grazia Pradella, titolare delle indagini.

Prefettura compiacente? Sul ruolo della Prefettura, che aveva affidato la gestione dei due centri alla cooperativa Caribù, senza pubblicare alcun bando, e nonostante alla coop stessa mancasse uno dei requisiti indispensabili, cioè il fatto di esercitare l’attività di accoglienza migranti da almeno un anno, il magistrato ha detto: «Sul punto mi riservo di compiere tutti gli accertamenti che si renderanno opportuni in prosieguo. Certo è che sono mancati, quantomeno in parte in modo quasi bizzarro, dei controlli: ci sono fatture che sono state rimborsate sei o sette volte per vari periodi. Inoltre, quando la struttura ospitava, come in un caso, 38 migranti, veniva denunciata la presenza di 81 con l’appropriazione del relativo costo e quindi è chiaro c’è un sistema nei controlli non adeguato».

Trattamento disumano. «Tra i metodi per risparmiare – spiega Grazia Pradella – Ed è questo un aspetto che ha colpito sia la sottoscritta che gli operanti, c’era un metodo di sfruttamento del lavoro dei migranti stessi e un metodo di trattamento inaccettabile delle condizioni fisiche e psichiche dei migranti. Il gip nella sua ordinanza dice che venivano trattate come bestie e in realtà abbiamo delle intercettazioni dove si disquisisce sul tipo di cibo da dare e viene deciso di dare polmone con varie frattaglie per ottimizzare i costi: un tipo di cibo che probabilmente le persone non danno neppure ai loro gatti. Chi provava a ribellarsi, abbiamo la prova in un’intercettazione, è stato picchiato e umiliato».

Attività investigativa. «Le indagini sono partite a pochi mesi dall’inizio della condotta truffaldina – sottolinea il colonnello Alfonso Ghilardini, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Imperia – Quindi con repentinità siamo riusciti a intercettare questa attività criminale e a fermarla e soprattutto a recuperare poi i soldi sottratti alla comunità».

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