Storie di confine/2

Ventimiglia, respinto dalla Francia torna nel letto del fiume in attesa di raggiungere l’Inghilterra: “Voglio solo studiare” fotogallery

Lo avevamo incontrato durante la marcia verso la frontiera: è di nuovo in Italia e ci racconta cosa è successo

Ventimiglia. Sono in 400, forse un po’ di più, forse un po’ di meno. La maggior parte è tornata sconfitta dalla Francia che, nonostante la vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali, ancora non ha tenuto fede ai quei principi di “libertè”, “egalitè”, “fraternitè”: parole che dal 1700 fino a qualche anno fa non suonavano vuote come invece sono ora. 
Sono tutti giovani uomini. Sono i migranti che da ormai tre anni arrivano a Ventimiglia e qui ci restano, ci vivono, ci tornano o ci muoiono. A Ventimiglia, città di confine, simbolo dell’accoglienza genuina, del volontariato vero, della bellezza della condivisione, ma anche della scelta forzata, dei sogni infranti, della speranza disillusa da un muro che non esiste ma c’è: quello del confine.

Qui, nel piazzale davanti al cimitero comunale dove riposano le spoglie dei cittadini ventimigliesi, brulicano la sera centinaia di uomini stranieri. A dar loro da mangiare ci pensano associazioni francesi che quasi sfidando un’imbarazzante ipocrisia allestendo banchetti per commensali ai quali, alla loro tavola, non è permesso sedere.

Qui, sul far della sera, troviamo lo stesso giovane sudanese che avevamo incontrato con le scarpe immerse nell’acqua del rio Meré, affluente del torrente Bevera, mentre con un altro centinaio di migranti aveva tentato di attraversare il confine con la Francia. E’ ferito ad un ginocchio: “Sono caduto mentre ero in montagna”, racconta, “I francesi mi hanno trovato e mi hanno preso ed ora sono di nuovo qui”.
 La Francia, per Mohamed o Ibrahim (il suo nome non è mai lo stesso) non è nemmeno la meta. Vuole andare in Inghilterra e vuole farlo per raggiungere il suo scopo: “Ho il diploma della scuola superiore”, dice raccogliendo dalla tasca un minuscolo sacchetto di plastica contenente un documento piegato in mille parti, “Vedete? Ho studiato e vorrei continuare a farlo. Non mi servono soldi, non mi serve nulla: voglio solo proseguire gli studi e qui in Italia non posso”.

Ha 22 anni ma sembra molto più vecchio. Non ha in volto la freschezza dei nostri giovani. Il suo letto è sotto un ponte, sulle sponde del fiume Roja. Lì dove sono tornate ad accamparsi centinaia di persone che quel letto di fortuna l’hanno lasciato per un solo giorno: il giorno della marcia.
“Perché non vai nel centro della Croce Rossa?” Chiediamo a Mohamed o Ibrahim. “Mi prendono le impronte digitali e questo significa che non posso più lasciare questo paese. Ma io voglio andare in Inghilterra, non voglio stare qui”. Inutile provare a spiegargli che quelle impronte tanto gliele hanno già prese, quando è sbarcato a Lampedusa. Non ascolta: starà nel fiume, fino alla prossima volta. Fino a quando non riuscirà ad attraversare il confine e poi, da lì, raggiungere la Gran Bretagna.
 Cosa lo spinge a tutto questo? Un foglio stropicciato dove è scritto il suo nome e il suo cognome, dove ci sono una sua foto e i voti raggiunti a scuola in inglese, francese, arabo, chimica, scienze e matematica. Un diploma, come quello che in Italia non assicura più nemmeno un lavoro, ma che lui custodisce come un cimelio prezioso. Un sogno da realizzare.

“L’Italia è bella, ma non fa per me”, conclude prima di salutarci, “Qui non posso studiare”. Da Ventimiglia cercherà di andare via. Ma quando e come ancora non lo sa.

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