Sua eccellenza

Ventimiglia, il Vescovo Suetta sugli scogli insieme ad attivisti e migranti fotogallery

"Li ho ascoltati e ho parlato con loro. I migranti sono fragili e questo dobbiamo riconoscerlo tutti"

Ventimiglia. Anche il Vescovo Antonio Suetta si è recato in frontiera durante le operazioni di sgombero del presidio no borders.

Dopo che, all’alba, circa duecento tra poliziotti e carabinieri hanno posto sequestro l’area adibita dagli attivisti a rifugio per i migranti, Sua Eccellenza ha raggiunto gli scogli, dove una cinquantina tra no borders e richiedenti asilo si sono asserragliati per resistere allo sgombero del campo.

“Per prima cosa voglio ricordare a tutti che in gioco vi sono delle vite umane”, ha esordito il Vescovo, “Mi riferisco ai migranti: persone povere sotto tutti i punti di vista. Sono povere in questa situazione per quanto riguarda il mangiare, il vestirsi e tutte le altre necessità più immediate e comuni. E sono anche poveri per la precarietà della loro condizione, per la loro fragilità, per quella speranza che portano nel cuore e che li ha spinti ad andare lontano, attraverso molte difficoltà e, penso, anche tante ingiustizie”.

Monsignor Suetta ha chiarito, però, di non parteggiare per nessuno: “Credo che in un contesto civile e ordinato, ognuno debba fare correttamente la propria parte.E la mia, in questo momento, non è solo dovuta al fatto che io sia un uomo di chiesa, un cristiano, ma è quella di ogni uomo”, che deve riconoscere, continua il Vescovo, la sofferenza e la fragilità dei richiedenti asilo.

Sua Eccellenza ha speso qualche parola anche per gli attivisti: “E’ sotto gli occhi di tutti e non c’è bisogno che lo ribadisca io, che l’azione è, per alcuni aspetti, decisamente illegale. Mi riferisco all’occupazione di suolo e ad altre azioni che, naturalmente, sono e debbono essere regolate da leggi. Non conosco tutti i no borders personalmente, ma per i pochi contatti che ho avuto, ho riscontrato in loro delle idealità buone. Come l’idealità di riconoscere quelle che hanno di fronte come delle persone e di superare un’attitudine puramente assistenziale cercando di capire, di stare vicino, di dialogare, di rendere una risposta non solo alle necessità materiali ma anche in termini di accoglienza, di affetto, cerando di aiutare i migranti a coltivare la loro speranza, di renderla il più concreta possibile e anche di renderli più consapevoli delle oggettive difficoltà che possono incontrare nel loro percorso. Se questo tipo di attività fosse inserita in un contesto socialmente compatibile, avrebbe in sè delle buone potenzialità”.

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