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Destinata al Ponente ligure la cocaina per cui Mario Mafodda ha ucciso in Via Muratori a Milano?

28 settembre 2013 | 12:49
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Destinata al Ponente ligure la cocaina per cui Mario Mafodda ha ucciso in Via Muratori a Milano?

La confessione del ” boss” della ‘ndrangheta taggiasca ha sorpreso pure gli scafati investigatori della Mobile meneghina. Il complice implicato in una rapina a Tortona

Non ha avuto alcuno scrupolo ad uccidere per non dovere corrispondere quarantamila euro ai corrieri cui aveva commissionato l’importazione di un chilo abbondante di cocaina da Santo Domingo, correndo e mettendo nel conto pure il rischio di uccidere una bambina di pochi anni. Mario Mafodda, boss della ‘ndrangheta del Ponente ligure, appartenente ad una nota famiglia calabrese trapiantata a Taggia, che esercitava la propria influenza criminale sulla piana formata dalla fiumara del torrente Argentina e sulle vicine Riva Ligure e Santo Stefano al mare, ha confessato di fronte al capo della Mobile milanese Alessandro Giuliano, figlio del mitico Boris assassinato dalla mafia a Palermo nel secolo scorso perché da capo della Mobile del capoluogo siciliano metteva seriamente il bastone tra le ruote a Cosa Nostra, l’omicidio dell’imprenditore milanese fallito Massimiliano Spelta e della compagna domenicana Carolina Ortiz Payano.

I due erano appena rientrati da un viaggio nella Repubblica dominicana ed avevano importato in Italia la cocaina commissionata dal boss taggiasco. Facendo leva sulla proverbiale arroganza dei tipici uomini " di panza" della mafia italica, Mafodda ha sentenziato che quello stupefacente fosse di pessima qualità. Poi si è rifiutato di corrispondere ai due corrieri il compenso pattuito e, di fronte alle loro lamentele, ha deciso di ucciderli facendosi aiutare da un balordo pregiudicato di periferia, tale  Carmine Alvaro, quarantaduenne che stava scontando  il suo debito con la giustizia a causa di una rapina compiuta a Tortona, vittima la gioielleria " Momenti preziosi", nel gennaio di quest’anno. Pure Alvaro è calabrese come Mafodda ma, a differenza del " capo", non ha nulla a che spartire con la ‘ndrangheta.  Oggi le indagini condotte dal capo della Mobile meneghina e dal capo della squadra omicidi della questura di Milano, dottor Marco De Nunzio,  sono orientate a stabilire il perché un boss come Mafodda, cinquantaquattro anni di cui la metà trascorsi in carcere perché condannato non solo per fatti di droga ma pure per il sequestro del piccolo Lorenzo Balboni di Bussana, abbia confessato con così grande facilità. Si cerca pure di scoprire chi sia il destinatario finale della partita di stupefacente portatagli da Santo Domingo.

Probabilmente Mafodda ha confessato per proteggere la convivente con la quale divideva l’alloggio di Viale Umbria centouno, sempre nel capoluogo lombardo, ma si sta facendo strada l’ipotesi che la partita di cocaina fosse destinata all’estremo Ponente ligure cioè alla zona di Sanremo e dintorni. Pare, infatti, che, pur essendosi stabilito da tempo nel capoluogo lombardo, Mafodda non avesse del tutto reciso i rapporti con l’Imperiese. La zona di Sanremo è tristemente nota per essere un mercato ben fornito di polverina bianca: lo spaccio al minuto è spesso in appalto a clandestini tunisini molto giovani ma il commercio a livelli maggiori è detenuto da clan albanesi ivi insediatisi alla fine degli anni novanta. Quasi sicuramente a sovrintendere il tutto la malavita organizzata di estrazione calabrese. In definitiva ieri a Milano in una brillante operazione di Polizia condotta con metodi tradizionali è stato fermato un pericolosissimo, e forse pure un po’ anomalo, delinquente affiliato alla più pericolosa mafia europea, la ‘ndrangheta calabrese, che tanto terrore ha sparso a destra  e manca. Si spera per sempre.                       
Sergio Bagnoli