Storia locale

Contributo del nostro lettore Andrea Gandolfo sull’occupazione francese di Ventimiglia nel 1945

le truppe francesi abbandonarono il comprensorio intemelio il 18 luglio 1945, quando si tenne in piazza del Comune a Ventimiglia la cerimonia ufficiale di passaggio dei poteri dalle autorità di occupazione a quelle del Governo Militare Alleato

Ventimiglia 1945 occupazione francese

Oltrepassata la linea gotica, il 23 aprile 1945 le avanguardie alleate cominciarono a dilagare nella pianura emiliana, mentre le forze partigiane liberavano le principali città del Nord prima dell’arrivo degli Alleati. Sul fronte delle Alpi Marittime, le truppe della 1ª Division Française Libre guidata dal generale Garbay, ricevettero l’ordine di passare alla controffensiva lungo il litorale e procedere all’occupazione di Ventimiglia, che venne raggiunta dalle avanguardie francesi verso le 18 del 25 aprile, quando la città era già stata occupata dai partigiani dell’8° distaccamento della Brigata «Nuvoloni».

Tra le 21 e le 22 arrivarono nella città di confine anche soldati algerini appartenenti al Bataillon de Marche Nord-Africain 22 provenienti da Olivetta San Michele, mentre, dopo aver raggiunto Sanremo il 26, le truppe francesi si spinsero oltre, tanto che un reparto del Régiment Tirailleurs Sénégalais agli ordini del maggiore Lécuyer giunse fino a Imperia, dove mise subito in apprensione le autorità locali timorose di eventuali mire annessionistiche da parte dei francesi, che tuttavia si ritirarono dopo pochi giorni lasciando il posto ad un reparto americano proveniente dalla linea gotica. A partire dal 25 aprile le truppe francesi estesero la loro occupazione da Ventimiglia a tutti i principali centri delle vallate limitrofe, stabilizzandosi quindi, verso la metà
di maggio, lungo una linea che andava da Bordighera fino a Baiardo e Piaggia.

Pochi giorni dopo l’entrata delle truppe francesi in città, il rappresentante dell’autorità militare transalpina, tenente colonnello Romanetti, si installò nel palazzo del Comune (dove si sarebbe recato in visita ufficiale il comandante del Distaccamento di Armata delle Alpi Doyen il 5 maggio), mentre il CLN di Ventimiglia decideva il 4 maggio di interpellare Romanetti per sapere quali
funzioni avrebbe potuto ancora svolgere sotto il nuovo regime di occupazione. Il 12 maggio l’ufficiale francese comunicò alla delegazione del CLN intemelio che l’autorità militare transalpina non reputava necessaria l’esistenza in città di un CLN italiano, in quanto tutte le funzioni di governo e di amministrazione erano già regolarmente espletate dall’autorità di occupazione in collaborazione con la Giunta municipale italiana, costituita dal sindaco cittadino Giacomo Gibelli e da Amalio Laura, Emilio Azaretti e Goffredo Maccario, ma che rimaneva strettamente controllata dagli organi militari francesi.

La situazione venutasi a creare a Ventimiglia indusse il Governo Militare Alleato ad escludere la città di confine, insieme ad altri undici comuni delle valli Nervia e Roia, dalla suddivisione in quattro distretti del territorio della provincia di Imperia, dal momento che la zona intemelia veniva considerata dai Comandi alleati già sottoposta alla giurisdizione militare francese. Le autorità transalpine avevano anche innalzato una sorta di confine provvisorio tra la zona occupata dalle loro truppe e il resto del territorio
italiano all’altezza del ponte dei Piani Borghetto tra Bordighera e Vallecrosia, dove venne stabilito un posto di blocco presidiato dalle forze dell’ordine dei due Paesi, che espletavano le formalità doganali esattamente come ad un qualsiasi valico di frontiera tra due Stati sovrani, tanto da farvi persino sventolare la bandiera italiana e francese. Intanto un numero sempre più crescente di propagandisti dell’annessione aveva cominciato a ricoprire edifici e strade della città e dei paesi dell’entroterra di bandiere e
manifesti inneggianti alla Francia, mentre le autorità di occupazione disponevano l’emissione di carte d’identità in lingua francese e procedevano alla nomina di persone di loro fiducia alla guida delle amministrazioni locali.

La campagna era gestita in particolare dal Comité d’action pour le rattachement à la comté de Nice, un organismo creato appositamente per realizzare l’annessione sotto la direzione del marmista di Beausoleil Hilaire Lorenzi, che curò anche l’istituzione di vari sottocomitati del sodalizio in numerosi comuni dell’estremo Ponente ligure e della Costa Azzurra. Il Comitato svolse un’intensa attività per convincere il maggior numero di persone delle grandi opportunità che avrebbe offerto loro il passaggio sotto sovranità francese.
Affiliati del Comité arrivarono persino ad organizzare dei plebisciti in vari comuni delle valli Roia, Nervia e Crosia, dove la grande maggioranza della popolazione si espresse in favore della Francia. La chiara volontà degli abitanti delle vallate intemelie di passare sotto il dominio francese venne ulteriormente ribadita da parecchi amministratori locali anche dopo la definitiva partenza delle truppe transalpine di occupazione, e rimase molto viva e sentita pure nei mesi successivi, nonostante l’imposizione da parte alleata di sindaci e municipalità decisamente contrari alle tesi annessioniste, l’attività repressiva svolta dai carabinieri e la diffusione della notizia che lo stesso ministro degli Esteri francese Bidault aveva opposto un secco rifiuto alle proposte anglo-americane favorevoli ad un passaggio alla Francia della Bassa Roia e delle valli Nervia e Crosia.
La rivendicazione francese dei paesi delle valli intemelie, tra l’altro mai proposta in forma ufficiale, venne comunque definitivamente accantonata al momento della partenza da Ventimiglia delle truppe di occupazione transalpine. Nell’ambito delle relazioni diplomatiche generali tra Italia e Francia in quel convulso periodo si segnala invece un importante incontro avvenuto il 30 maggio 1945 a Parigi tra Saragat e Bidault, il quale assicurò il nostro rappresentante diplomatico nella capitale francese che il governo transalpino rinunciava a qualsiasi tipo di rivendicazione sulla Valle d’Aosta, le valli di Oulx e Sestrières e la zona di Ventimiglia, limitando le proprie richieste solo all’alta Roia, all’altopiano del Moncenisio e al Monte Chaberton. Nonostante Bidault si fosse personalmente
impegnato – non senza dover superare molte difficoltà e resistenze – per ottenere la rinuncia di De Gaulle e del suo Stato Maggiore alle loro prime ben più consistenti rivendicazioni, il governo italiano rifiutò di giungere a un’intesa con quello di Parigi in merito alle vertenze confinarie prima dell’inizio della Conferenza di pace, ribadendo l’inaccettabilità delle condizioni proposte.

Durante il periodo dell’occupazione francese di Ventimiglia nacque anche un’iniziativa degna di nota che si concretizzò nella proposta di istituire una Zona Franca Intemelia (dal nome dell’antica popolazione locale preromana) a cavallo della frontiera tra Italia e Francia, senza alcuna menomazione della loro sovranità sui territori compresi all’interno della zona stessa. Il
progetto era stato ideato dal farmacista ventimigliese di ispirazione federalista Emilio Azaretti, che riuscì a far convergere sulla zona franca i consensi di numerosi cittadini ed esponenti politici, tra i quali affiliati al PCI e al Partito d’Azione, i quali si sarebbero tuttavia defilati in un secondo tempo dal movimento di Azaretti, che venne alla fine sconfessato dagli stessi organi dirigenti locali dei due partiti, al pari di quelli del Partito Socialista. La zona franca proposta dal farmacista intemelio e dai suoi collaboratori riuniti in un’apposita associazione denominata Unione Democratica Federalista, ebbe come principale obiettivo quello di ricostituire l’antica unità economica della Valle Roia grazie al trasferimento dei confini doganali dei due Paesi da entrambi i fianchi delle montagne, lungo una linea che, dal versante italiano, avrebbe dovuto passare dal Monte Nero al Saccarello e dal Marguareis al Colle di Tenda e al Monte Clapier, mentre sul versante francese furono proposte tre soluzioni, che includevano comunque diversi comuni della Roia come Sospel, Breil, Saorge e Fontan. Nel territorio delimitato da tali confini sarebbe stata consentita la libera circolazione delle merci, i prodotti locali avrebbero potuto essere esportati sia verso l’Italia che verso la Francia secondo quantità stabilite da una commissione mista; i due Stati sarebbero stati abilitati ad autorizzare licenze provvisorie d’esportazione verso la zona franca. I promotori dell’iniziativa proposero pure che i controlli di passaporti e doganali si svolgessero ai limiti della zona e che la carta d’identità fosse considerata un documento d’espatrio sufficiente per consentire il passaggio dei cittadini italiani o stranieri residenti entro e fuori i limiti della zona stessa verso uno Stato o l’altro, secondo delle modalità da estendersi anche ai cittadini francesi o stranieri residenti in Francia, mentre gli spostamenti dei residenti all’interno della zona interessata dai benefici dell’esenzione doganale sarebbero stati consentiti dietro semplice esibizione di una carta frontaliera vidimata dai competenti organi governativi del rispettivo paese di provenienza. Veniva infine proposta la smilitarizzazione dell’intero comprensorio e si annunciava l’invio alla Santa Sede di una richiesta ufficiale per la ricostituzione dell’antica diocesi
 ntemelia.

Le idee propugnate da Azaretti trovarono anche un’ampia eco nel foglio del movimento «La Voce Intemelia», che avrebbe difeso con passione gli interessi delle popolazioni intemelie nello spirito della fratellanza italo-francese fino ai giorni nostri. Il progetto della zona franca, che pur aveva ottenuto il consenso di una trentina di comuni dell’Alta e Bassa Roia e di Mentone, Roquebrune e Moulinet sulla costa, venne però immediatamente contrastato sia dagli annessionisti del Comité, che lo giudicavano soltanto un
tentativo da parte dei filoitaliani di scoraggiare il passaggio del territorio intemelio sotto la sovranità francese, sia dai gruppi a favore dell’Italia che vi scorgevano la longa manus degli annessionisti, sia infine dal governo italiano, che per tramite del segretario generale del Ministero degli Esteri Prunas, lo criticò duramente facendolo quindi tramontare definitivamente.

Nel frattempo proseguiva un’intensa attività propagandistica da parte della fazione filofrancese e di quella filoitaliana per raccogliere il maggior numero di consensi tra la popolazione sulle rispettive prese di posizione. I Comité cominciarono allora a stampare a Nizza un loro giornale intitolato «Trait d’Union», nel quale gli annessionisti tentavano di spiegare per quali ragioni
almeno le valli Roia e Nervia dovessero diventare francesi, mentre a Ventimiglia il tenente colonnello Romanetti aveva fatto affiggere ai primi di maggio un manifesto incitante la popolazione a votare in massa per la Francia, al quale risposero subito dopo i Comitati d’opposizione italiani con l’affissione di un altro manifesto dal significativo titolo «Basta!» il 14 maggio. Per contrastare più efficacemente l’attività dell’autorità militare francese in favore delle tesi annessioniste, i Comitati di opposizione, che si erano rivolti anche ai Comandi militari alleati, iniziarono a stampare pure loro un foglio da contrapporre al «Trait d’Union», intitolato «Fiamme di Italianità», del quale, pur tra alterne e rocambolesche vicende, sarebbero stati pubblicati tre numeri tra il 19 maggio e il 1° luglio del ’45. I Comitati filoitaliani, oltre ad organizzare cellule nelle vallate, stilarono anche una serie di rapporti in cui denunciarono i sistemi antidemocratici usati dai filofrancesi per costringere la popolazione locale a votare a favore della Francia nei plebisciti indetti dai Comité.

L’attività propagandistica si intensificò ulteriormente nel corso del mese di giugno, mentre l’autorità di occupazione francese procedeva all’arresto di numerosi militanti affiliati ai Comitati d’opposizione, dei quali uno dei più attivi era quello che aveva il suo centro operativo presso la pensione «Riviera» di Bordighera. Quando ai Comité andò pian piano subentrando l’Unione Democratica Federalista, i Comitati di opposizione affissero un manifesto intitolato «Ai Zona Franchisti Intemeli», nel quale venivano aspramente criticati i metodi autoritari utilizzati dai filofrancesi per indurre gli abitanti della zona a piegarsi alle loro volontà, e veniva proposto di organizzare un referendum – con il consenso del governo italiano – per decidere se accordare una limitata autonomia alla zona intemelia senza porla sotto il dominio di una potenza straniera. Intanto, già pochi giorni dopo l’inizio dell’occupazione francese di Ventimiglia e degli altri territori italiani, il Comando alleato, su pressioni delle nostre autorità, aveva informato il governo di Parigi che il regime di occupazione instaurato dai francesi in Italia era in contrasto con l’indirizzo generale della linea politica adottata dagli Alleati in Europa.

Dopo aver ricevuto un ultimatum dal presidente americano Truman il 7 giugno, De Gaulle, che non gradiva evidentemente un’amministrazione alleata dei territori italiani lungo la frontiera, dovette alla fine cedere autorizzando il generale Carpentier a concludere il prospettato accordo, firmato a Caserta l’11 giugno, il quale prevedeva la partenza delle truppe francesi dai territori occupati entro un periodo di tempo compreso tra il 25 giugno e il 10 luglio successivi, a condizione che quest’ultime fossero sostituite da reparti angloamericani con l’allontanamento delle forze italiane dalle zone adiacenti alla frontiera. In esecuzione di tali accordi, le truppe francesi abbandonarono il comprensorio intemelio il 18 luglio 1945, quando si tenne in piazza del Comune a Ventimiglia la cerimonia ufficiale di passaggio dei poteri dalle autorità di occupazione a quelle del Governo Militare Alleato, che assunse direttamente il controllo amministrativo del territorio intemelio dopo quasi tre mesi di occupazione francese.

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