Il testo integrale dell’Omelia di Mons. Alberto Maria Careggio per l’Ordinazione di Longo e Basso

“Cari Diego ed Emanuele, potrò forse apparire insistente, ma, oggi nel giorno della vostra ordinazione, un atto definitivo e totalizzante come un vero e proprio matrimonio cristiano, domandatevi spesso a chi avete voluto consegnare il vostro cuore”
“Segno di speranza e dono prezioso”, così è stata definita la celebrazione odierna dal Vicario Generale, Mons. Umberto Toffani. Possiamo senza dubbio condividere questa affermazione. La Cattedrale è gremita quanto mai per un evento importante: il diaconato a Diego Basso e ad Emanuele Longo. A questo si aggiunge, quale felice coincidenza, il ricordo della mia ordinazione episcopale, avvenuta quindici anni or sono, chiamato ad essere dapprima il pastore della comunità di Chiavari, quindi, di Ventimiglia – San Remo.
Esprimo viva gratitudine al Vicario che ha invitato la Diocesi a unirsi oggi in preghiera e, in tal modo, «manifestare il suo senso di appartenenza alla Chiesa per mezzo della comunione presbiterale… È attorno al Vescovo – si legge nella lettera d’invito – che Dio raduna il suo popolo e arricchisce di doni e di ministeri il Corpo mistico della comunità cristiana». Vogliamo dunque manifestare la nostra fede in Gesù Cristo e, associati alla sua vita per mezzo dell’Eucaristia che stiamo celebrando, dobbiamo desiderare fortemente di diventare un cuore solo ed un’anima sola, testimoni nel mondo dell’amore di Dio per l’umanità: questa è la Chiesa che Gesù vuole.
Saluto con affetto sincero tutti i presenti, specialmente il mio confratello Vescovo, Mons. Giacomo Barabino; S. E. Mons. Antoine Koné, vescovo di Odienné (Costa d’Avorio); Mons. Umberto Toffani, Vicario Generale; Don Luca Salomone rettore del Seminario diocesano nonché parroco della Cattedrale; tutti i presbiteri, i diaconi permanenti, i religiosi e le religiose convenuti per la festa, i fedeli tutti. Saluto pure i genitori e le famiglie degli ordinandi Diaconi, amici e familiari.
Un saluto ed un ringraziamento particolare lo voglio rivolgere al Rettore del Seminario Notre-Dame de Laghet, Père Marc-Alain Ruiz, che ha voluto essere presente oggi a questa ordinazione con qualche Seminarista. Da quest’anno, infatti, il nostro Seminario, rimasto con un solo studente, Claudio Fasulo, si è appoggiato a quello delle Diocesi a noi più vicine, Monaco e Nizza, con le quali, a livello di Chiesa, vi è un legame plurisecolare, come tutti voi conoscete.
Ci accompagna, in questo rito, la Parola di Dio che è particolarmente ricca e stimolante nella prospettiva vocazionale. Incoraggiante è la prima lettura tratta dal libro del Profeta Isaia. Vi è chiaramente affermato che la vocazione è un dono di Dio messo nel cuore del chiamato da tutta l’eternità: «Prima di formarti nel seno materno ti ho conosciuto». Prima ancora che tu potessi aver visto la luce tu – dice il Signore al giovane Isaia – eri già per me un profeta, per annunciare la mia parola al mondo. Il mistero della vocazione è tutto contenuto in questo inizio che si perde e scaturisce da un progetto imperscrutabile di Dio stesso. Prima ancora che il profeta potesse essere innamorato di Dio, Questi era già innamorato di lui, consacrandolo da tutta l’eternità ad una missione. Penso, a questo punto, quanto gravi e mostruose siano le infedeltà di coloro che nel corso della propria vita religiosa e sacerdotale tradiscono la loro chiamata, perdono il loro slancio apostolico, sono diventati sale senza sapore, insignificanti davanti a Dio, a se stessi e alla comunità. Il Signore ci liberi da questo rischio che mette a prova la nostra fedeltà di consacrati, la sincerità del nostro sì, la purezza del nostro cuore. Sarebbe come una radice cancerogena se, nel dire “si, lo voglio”, ci fosse ancora nel vostro cuore un residuo di attaccamento ad un affetto disordinato, cioè non orientato alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Il Signore vuole cuori liberi!
Più che voler diventare diaconi a servizio della Parola, in voi deve essere sempre vivo e sincero il desiderio di essere voi stessi la Parola, il Vangelo di Dio incarnato nella vita, offrendo al Signore tutto quanto siete di mente e di volontà, di cuore e di corpo.
Nelle parole del Signore c’è una promessa consolante. Al Profeta, titubante per la sua giovane età, consapevole di essere impreparato per affrontare la missione, il Signore toglie ogni paura: «Non dire: “Sono giovane”… Non aver paura… Io sono con te… metto le mie parole sulla tua bocca» (Cfr. Is 1,4-9). Portate sempre in voi queste belle e consolanti promesse. Oggi è tutta festa, l’avvenire vi è di fronte come una luce che invita, come una voce che vi chiama, come un giorno radioso senza tramonto… ma domani…quanto queste promesse di Dio vi saranno di aiuto e di conforto!
Vincendo il pudore nel parlare della mia vocazione, devo dire che per me è così ogni giorno, da quando il Santo Padre Giovanni Paolo II volle personalmente che diventassi vescovo. Non consideratelo un fatto troppo confidenziale se vi dico che dal primo momento in cui seppi di dover diventare un successore degli Apostoli, preso da una angoscia opprimente, feci quanto mi era umanamente possibile per allontanare da me questa chiamata. Non solo andai a Lourdes a pregare la Madonna perché mi liberasse dalla agghiacciante paura, ma presi l’ardire di telefonare direttamente al Papa perché considerasse bene la mia indegnità, la mia impreparazione, tutto quanto pensavo esservi di ostacolo. Il Santo Padre fu tanto paterno quanto irremovibile. Arrivò il 12 luglio del 1995. Eravamo soli in montagna ed era la prima uscita della vacanza. Cammin facendo mi rivolsi a Lui pregandolo di non dare corso alla mia nomina: era ancora sotto stretto segreto. Ma egli, ritto sul sentiero, con sguardo penetrante e con voce ferma, mi disse: «Al Papa non si dice di no. Vai avanti!». «Ma, Santità – gli risposi – non ho avuto tempo sufficiente per riflettere… dovevo provvedere alla sua vacanza…». E di rimando, senza esitare, le sue parole furono queste: «Vai avanti. Sono io che ti ho scelto… ». Non posso dire che cosa provai in quel preciso momento. Immobile e silenzioso, vissi l’istante più lungo della mia vita. Nel profondo silenzio che seguì, ripresi il cammino per fermarmi di nuovo subito, all’improvviso, e domandargli quale poteva essere il mio motto: quello era il mio “sì” al Signore e alla Chiesa. Il Papa, senza alcuna esitazione, mi dettò allora lo stile della mia nuova vita sacerdotale: “Sub tuum praesidium”, l’inizio della più antica preghiera mariana.
Chiedo scusa a voi, cari diocesani, se mi sono lasciato andare a tanta personale confidenza, trasportato dall’emozione, ancora vivissima, di quel breve dialogo. Sono passati quindici anni, ma il tempo in questo caso è l’eternità. Con animo grato è certamente doveroso alzare anche il velo di un comprensibile pudore per dire soprattutto a voi, giovani chiamati al sacerdozio, che la vocazione quando è autentica, garantisce sempre la presenza di Gesù che in ogni istante ti dice: Vai avanti, io sono con te tutti i giorni, vieni e seguimi. Ti accompagna Maria, la Madre mia e la madre tua,.
Cari Diego ed Emanuele, potrò forse apparire insistente, ma, oggi nel giorno della vostra ordinazione, un atto definitivo e totalizzante come un vero e proprio matrimonio cristiano, domandatevi spesso a chi avete voluto consegnare il vostro cuore. Non c’è dono più grande di quello che si fa nell’affidarsi in tutto a Gesù. Non c’è gioia più grande di quando si può dire: «Gesù, io vivo per te e sono tutto tuo». Questa è la condizione che egli pone all’inizio del suo discepolato: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14,25-33).
Il richiamo finale alla croce non è per farci tremare, è per sublimare e purificare il dono che Gesù ci ha fatto nel chiamarci a seguirlo. «Le cose belle si pagano» mi disse il Rettore quando, alla soglia dei miei vent’anni, chiedevo di entrare in seminario. Ne ho fatta l’esperienza, soprattutto da vescovo, nel pianto e nella gioia: sì, soprattutto nella gioia profonda perché seguire Gesù fin sulla croce non è eroismo: è soltanto lo stare con Lui per risorgere come Lui.
+ Alberto Maria Careggio