La testimonianza

Intervista al dottor Massimo Conio, ricoverato per coronavirus: «La gente non si rende conto che si muore veramente»

L'appello del primario: «I controlli dovrebbero essere più severi, trasgredire le restrizioni deve costare caro»

Sanremo. Guai a chiamarlo eroe, se proprio volete, fatelo ogni giorno, perché ogni giorno medici e infermieri affrontano malattie anche peggiori del coronavirus. A dirlo non è il sottoscritto ma il dottor Massimo Conio, eccellenza nel panorama nazionale degli specialisti di gastroenterologia, attualmente direttore dei reparti omonimi presso l’Asl2 Savonese (precedentemente Asl1 Imperiese).

Il gastroenterologo è ricoverato da alcuni giorni all’ospedale Borea della sua Città dei Fiori e proprio in queste ultime ore ha superato la cosiddetta “crisi”, quell’asticella oltre la quale si torna a vedere la luce di una pronta guarigione. Quella concessa a Riviera24.it è una testimonianza preziosa, da parte di un medico a cui non piace drammatizzare ma che non può più accettare di vedere troppe persone per strada senza un valido motivo.

«Mi lasci dire subito che la retorica dei medici eroi mi fa sorridere. Noi siamo eroi tutti i giorni, ci sono malattie gravissime come il cancro che affrontiamo quotidianamente, eppure ci si è ricordati di noi solo per un’infezione, letale, ma che è una delle tante emergenze di cui ci occupiamo, spesso in condizioni di gravissima difficoltà».

Conio, costretto a rimanere in isolamento attaccato alla macchina dell’ossigeno, così racconta la sua malattia:

«Ho avuto una carenza di ossigeno dovuta più che per la febbre, a causa della forte tosse che non mi permetteva di respirare a sufficienza. Ecco perché mi trovo ricoverato. Ora va molto meglio, le ultime 24 ore sono state di svolta. Grazie al respiratore artificiale le cose sono notevolmente migliorate. Quando i sintomi si aggravano, subentra uno stato di spossatezza, di grande stanchezza. Ma con i protocolli che ci sono si risponde bene e si va avanti».

Come ha contratto il virus dottore?

«Il virus l’ho contratto all’interno dell’ospedale perché quando è stato segnalato il primo cas, non ci si è resi conto di cosa avessimo di fronte. Anche i mezzi di protezione per me e per tutti gli altri colleghi non erano adeguati. Soprattutto il numero di mascherine, esse erano veramente contingentate. Ho dovuto firmare per averne due che però non erano adatte. Ci siamo trovati in un ambiente affollato, inadeguato, in mezzo ai malati, senza renderci conto di cosa stasse accadendo. Prima le segretarie, poi le infermiere, infine noi medici: il virus era ovunque e non lo sapevamo».

 Come stanno vivendo l’emergenza i suoi colleghi?

«In ambito professionale c’è preoccupazione. Ma i mezzi a nostra disposizione sono molto migliorati. In alcuni reparti come quello che dirigo io, non abbiamo tute, guanti etc, di cui invece sono dotati in chirurgia. Bisogna pensare a un approvvigionamento maggiore di mascherine perché hanno una durata limitata di 8-10 ore.

Vorrei aggiungere – continua Conio – che le nostre strutture sanitarie sono vecchiotte. In queste i criteri igienici sono di più difficile applicazione. Avere un ospedale moderno come il Papa Giovanni di Bergamo agevolerebbe di molto il lavoro di tutti. Tutto questo ci sta insegnando che ci vuole una riforma di fondo, una ristrutturazione del sistema sanità fatto ascoltando i tecnici. Pensiamo ai miliardi che stiamo spendendo per un’emergenza, non potevamo pianificare prima, dimenticandoci delle politiche di campanile?».

 Cosa vorrebbe dire a chi esce di casa senza un giustificato motivo?

«La gente per la strada dovrebbe pagare 1000 euro e non ci si dovrebbe accontentare di un semplice rimprovero. Forse non si ci rende conto che si muore veramente. In questo reparto, insieme a me, ci sono altri medici ricoverati, stiamo bene, ma se avessimo avuto una patologia cronica, avremmo veramente rischiato la pelle.

E’ fondamentale rispettare le regole dettate dalle istituzioni. Chi esce di casa manca di rispetto agli altri e a se stesso. Occorre che la polizia agisca pesantemente. Ogni giorno muoiono centinaia di persone, a chi trasgredisce cosa dobbiamo ancora dire?».

Quando e come ritorneremo alla normalità?

«Non torneremo più alla vita di prima. In linea di massima penso che prima di due mesi da questa situazione non se ne esce. Tuttavia vorrei farvi riflettere sulle condizioni in cui ci troveremo sotto il profilo della servizio sanitario. Per via dell’emergenza abbiamo abbattuto le visite dell’80%, ci ritroveremo quindi con liste d’attesa infinite. Penso che i mesi che verranno saranno di super lavoro. La Regione, o chi per essa, dovrà veramente rimboccarsi le maniche, ascoltarci e darci quei mezzi che fino ad adesso non ci sono stati dati».

Tornerà in corsia?

«Non appena mi sarò negativizzato, sicuramente».

(Riascolta l’intervista completa nel video di Riviera24.it)

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