La testimonianza

Rischia di morire per una peritonite scambiata per gastrite all’ospedale di Bordighera

Il racconto choc della donna: «Mi hanno salvato i medici di Sanremo, devo loro la mia vita»

Chirurgia 2
- Foto d'Archivio

Bordighera. Dolore allo stomaco, crampi, febbre e vomito: sintomi scambiati per gastrite che nascondevano invece una peritonite con microperforazioni. L’errore nella diagnosi poteva costare cara ad una giovane professoressa abitante a Ventimiglia, M.B., che deve la vita alla sua dottoressa e ai chirurghi dell’ospedale di Sanremo, che pur avendola operata quando ormai la situazione era critica, sono riusciti a salvarla.

La donna ha voluto raccontare quanto accaduto con la speranza che «tutto il dolore provato da me e dalla mia famiglia non capiti ad altri», oltre che per ringraziare chi l’ha curata. «Tutto è iniziato mercoledì 29 gennaio – dice la professoressa – Ho avuto crampi allo stomaco per tutto il giorno, ma pensavo che non fosse nulla di grave». Nella notte, però, i dolori aumentano e così la donna, la mattina successiva, decide di andare al punto di primo intervento dell’ospedale Saint Charles di Bordighera, dove viene visitata dal dottore P.A., di turno in quel momento. «Mi ha fatto fare le analisi e una lastra all’addome, che ha mostrato una pancia piena di aria e feci – ricorda la giovane -. Ho chiesto che mi venisse fatta anche un’ecografia, ma mi hanno risposto che tanto non si sarebbe visto nulla. Così, dopo una flebo, nonostante il dolore non fosse completamente sparito, mi hanno rimandata a casa, dicendomi che dovevo seguire la terapia e andare in bagno». La diagnosi, sul foglio di uscita dell’ospedale, non lascia dubbi: gastrite.

Ma dopo un paio di ore la situazione peggiora. «Intorno alle 15 sono tornata in ospedale perché il dolore alla pancia si era fatto più forte e vomitavo. Stavolta il dott. P.A. non mi ha fatto nessun esame, nemmeno del sangue (nonostante la prima volta avessi i globuli bianchi alti, segno di infezione), ma un paio di flebo e alle 19 mi ha di nuovo dimessa», racconta. La diagnosi, questa volta, è leggermente diversa: gastroenterite.

La notte tra il 30 e il 31 gennaio la situazione si aggrava: dalle 23 alle 3 del mattino, la donna è in preda a dolori lancinanti e vomito. La mattina chiama il proprio medico di fiducia, che va a visitarla a casa: «Si è stupita che non mi avessero fatto né un’ecografia né una tac – dice -. Preoccupata, la dottoressa mi ha firmato un foglio per mandarmi direttamente al pronto soccorso di Sanremo. E così ho fatto».

Appena giunta al pronto soccorso del Borea, la paziente viene sottoposta a tutte le analisi, comprese lastre e tac che confermano i sospetti suoi e della sua dottoressa: peritonite con microperforazioni. «Mi hanno fatto accomodare su una lettiga e visitare da un chirurgo che mi ha detto che mi avrebbero operata immediatamente – ricorda la donna, ancora con angoscia – La mia appendice era letteralmente esplosa, rilasciando feci e pus (che stavano già circondando il fegato). Quando il chirurgo ha detto a mia madre e a mio marito che avrei potuto non farcela, è mancato loro il terreno sotto i piedi. Erano disperati, increduli».

Momenti drammatici, per lei e per la sua famiglia. Ma non c’è tempo da perdere. La situazione è critica e va affrontata subito. «Mi hanno gonfiata come un pallone per cercare di pulire il più possibile l’intestino – dice – Sapevano che probabilmente avrebbero dovuto ripetere il lavaggio più avanti, perché c’erano veramente un sacco di scorie. Infatti, dopo una settimana, hanno ripetuto l’intervento». La paziente, ancora provata dal dolore, dallo spavento e dagli antibiotici presi per evitare il propagarsi di infezioni batteriche, viene dimessa il 17 febbraio, dopo 16 giorni di ospedale.

«Ho sofferto tantissimo e così la mia famiglia, ma fortunatamente sono qui per raccontarlo e non posso che ringraziare i chirurghi dell’ospedale di Sanremo che, vista la gravissima situazione in cui sono arrivata, non si dimenticheranno facilmente di me – conclude la donna -. Il professore che mi ha operata, ha detto che in tutti gli anni di lavoro una cosa del genere non l’aveva mai vista e che ho davvero rischiato di morire. Ora sono a casa, il recupero sarà lento e molto lungo. Non voglio denunciare nessuno, ma condividere con gli altri quanto mi è accaduto, perché vorrei che una cosa del genere non capiti mai più».

 

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