Mutamenti

Sindrome di Peter Pan: paura di crescere e fuga verso l’isola che non c’è

E' una condizione psicopatologica in cui il soggetto si rifiuta di crescere, di diventare adulto e di assumersi le responsabilità

Daniela Lazzarotti

La sindrome di Peter Pan chiamata nanotenia psichica può essere definita come uno stato psichico di immaturità della sfera psicoaffettiva.

Questa sindrome, che appare all’inizio dell’età adultacolpisce più gli uomini che le donne, è una condizione psicopatologica in cui il soggetto si rifiuta di crescere, di diventare adulto e di assumersi le responsabilità, proprio come Peter Pan.

La persona affetta è generalmente intelligente, brillante, affascinante, ben integrata nel lavoro ma totalmente incapace ad amare e di creare relazioni profonde ed autentiche. Il Peter Pan è capace di socializzare molto bene ma non è capace a relazionarsi affatto, i suoi rapporti sono privi di consistenza, di coinvolgimento relazionale, immaturi. Nelle relazioni con gli altri cerca sempre di primeggiare o di stare al centro dell’attenzione. É in grado di vivere delle grandi passioni sessuali, salvo diventare freddo quando si impegna in relazioni serie.

Nel suo mondo il dolore non esiste e il coinvolgimento emotivo, che lo esporrebbe al rischio di soffrire, viene manifestato dalla fuga dal dolore, è quanto di più caratteristico in lui. Alla base della sindrome omonima c’è un profondo rifiuto di crescere, naturalmente è una condizione inconscia , che lavora al di sotto della coscienza dell’individuo, ma che prova grande sofferenza.

Il soggetto, proprio come un bambino tende a guardare solo il lato divertente e positivo della vita, sfuggendo a quello negativo, per paura di soffrire tende ad evitare le responsabilità, il rischio, le scomodità. Tutte le situazioni che si affrontano per crescere. Quando nonostante tutto gli si presentano eventi dolorosi della vita ,il Peter Pan può reagire con rabbia, frustrazione o totale rifiuto dell’evento che generalmente lo porterà a sviluppare disturbi dell’umore.

Si sente bambino o figlio anche quando dovrebbe sentirsi adulto, ha difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti richiesti dalle varie fasi della vita come matrimonio, paternità, maternità perché lo schema emotivo che guida le sue azioni, comportamenti, reazioni, è quello di quando era bambino. E’ come se la sua mente fosse rimasta ”congelata” nel passato. E’ chiaro che una persona con uno schema emotivo infantile non avrà alcuna capacità di adattarsi ai normali cambiamenti richiesti dalle varie fasi della vita.

Ecco perché Peter Pan si trova a suo agio solo nelle situazioni in cui può primeggiare o non deve assumersi responsabilità, perché impegno ed onere, specie nei confronti degli altri, sono vocaboli che la mente dell’immaturo patologico non è in grado di comprendere ed attuare. Nel tentativo di evitare la sofferenza degli adulti, questa persona vivrà una sofferenza ancora più grande, il disadattamento alla vita. La causa è da ricercarsi negli anni della prima infanzia, manifestano questi soggetto un modello familiare che non ha stimolato la crescita e l’individualizzazione.

Sono figli di madri apprensive ed eccessivamente protettive che cercano di eliminare ogni ostacolo dalla vita del bambino, ogni cosa possa determinare una sofferenza o una frustrazione. Il “bambino di mamma” non deve soffrire, deve essere accontentato e sopratutto non disturbato dal discorso che lo responsabilizza riguardo ai doveri della sua età. Deve rimanere nella campana di vetro che finisce per essere una gabbia, una prigione all’interno della quale la fiducia in se’ stesso, la sua voglia di misurarsi con le difficoltà ed imparare a tollerare le piccole frustrazioni derivanti dagli insuccessi, la responsabilizzazione riguardo ai doveri, l’adeguamento alle regole, non trovano spazio per maturarsi ed evolversi in comportamenti adeguati all’età.

Sentirsi protetti e sotto un continuo controllo oltre le reali necessità, creano nel bambino l’idea che il genitore non si fidi delle sue capacità, che sia fragile e non adeguato. Ciò determina un’ostilità inconscia nei suoi confronti che viene espressa con continue richieste infantili di accudimento, con capricci e difficoltà di esprimere gratitudine per gli sforzi profusi nell’accontentarlo.

Un percorso di psicoterapia potrebbe aiutare chi soffre di questa condizione a comprendere le ragioni che stanno alla base dei propri comportamenti, prendendo consapevolezza e quindi modificarli imparando ad amare se’ stesso, nella propria pienezza di essere umano, facendo i conti con i limiti, il dolore, la caducità. La sua evoluzione dovrà passare attraverso il sentire il “dolore” dentro di se’, con la scoperta del blocco emozionale che ha anestetizzato il suo cuore. A questo punto egli potrà vedere l’altro ed amarlo e riconoscere se stesso nell’altro.

Dott.ssa Daniela Lazzarotti

www.danielalazzarotti.com

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