Cambiamenti sociali

Crisi e precarietà, in Liguria un terzo dei giovani che vive con mamma e papà ha un lavoro

Il 34,40% dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni che vive con i genitori ha un’occupazione, il 22,90% sono in cerca di occupazione e il 38,70% studia

Giovani mammoni

Liguria. Crisi economica, disoccupazione, precarietà. La colpa principale è sempre loro. Loro le prime responsabili delle difficoltà di ingresso e di permanenza nel mercato del lavoro da parte dei millennials e il conseguente annullamento delle loro possibilità di emancipazione. Oggi infatti non basta neppure più un impiego per uscire di casa e l’attitudine a continuare a dormire nella cameretta d’infanzia è sempre più consolidata. Secondo l’Istat, in Liguria un terzo dei giovani tra i 18 e i 34 anni che vive ancora con mamma e papà risulta essere occupato. Una stima che conferma una tendenza oramai storica a cui fa da contraltare la più bassa e altrettanto paradossale di chi ancora risiede nell’abitazione dei e con i propri genitori ma un lavoro, invece, lo sta cercando.

Dall’audizione del presidente dell’Istituto nazionale di statica Giorgio Alleva, presentata alla Camera dei deputati all’inizio di luglio ed elaborata al fine di offrire un contributo utile all’esame delle proposte di legge costituzionale (C. 3478 e C. 3858), emerge che nel 2016 i giovani liguri che vivevano con i genitori pur avendo un’occupazione erano il 34,40%, 22,90% quelli in cerca di occupazione e 38,70% gli studenti.*

Da notare che l’indagine è stata redatta per valutare con accuratezza due proposte normative volte a garantire sia che gli obblighi di tutela previsti dall’articolo 38 della Costituzione siano adempiuti secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni, sia che il sistema previdenziale assicuri trattamenti adeguati, solidarietà ed equità tra le generazioni, essendone garantita al contempo la sostenibilità finanziaria. Insomma, una statistica per contribuire a salvare i ragazzi del nuovo millennio, protagonisti di un’evoluzione del sistema che, tra le altre conseguenze, ha avuto un innalzamento dell’età media di ingresso nel mercato del lavoro.

Nel dettaglio, questa “si è innalzata costantemente tra gli uomini, passando da circa 18 anni (nati negli anni ’40) a circa 21 (nati negli anni ’80). Tra le donne, dopo essere scesa a circa 21 anni per le generazioni delle nate nei primi anni ‘60, è tornata a salire e raggiungere i 24 anni per la generazione delle nate negli anni ’80”. Circa le modalità di inserimento, le riforme che si sono susseguite a partire dagli anni ‘90 “hanno fatto crescere significativamente il peso del lavoro atipico”, ovvero di lavoratori dipendenti a tempo determinato, collaboratori o prestatori d’opera occasionale. Tale forma di impiego “ha interessato prevalentemente le generazioni più recenti. Partendo dalle ultime coorti di età, per quella dei nati a partire dal 1980, la quota di lavoratori atipici al primo lavoro è del 44,6%, a fronte di incidenze del 31,1% per i nati negli anni ‘70, del 23,2% per quella degli anni ‘60 e di circa un sesto tra i nati nei decenni precedenti. Peraltro, le differenze di genere, a sfavore delle donne, sono particolarmente pronunciate per le generazioni più giovani. L’occupazione atipica al primo lavoro è diffusa anche per titoli di studio secondari superiori o universitari e cresce all’aumentare del titolo di studio, essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell’obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario”.

 

*Percentuali diffuse da “Infodata” del Il Sole 24 Ore

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