La nostra storia

La storia e la leggenda dell’Albergatrice dell’ospedale di Cervo nel secolo XIII

Da qui passavano i pellegrini tra i quali un gruppo di artigiani che vendevano le proprie creazioni nei mercatini locali

cervo l'albegatrice

Cervo. A Cervo esisteva nel XIII secolo una sorta di ospedale posto in uno dei caseggiati della attuale salita al Castello, allora unica strada del borgo. In sostanza era ubicato all’esterno del Borgo.

La pianta rileva nei diversi secoli lo sviluppo del borgo e lo colloca tra seconda e terza porta marina. Probabilmente furono i Cavalieri di Rodi a fondarlo come “susceptiones”, cioè ospizio per viandanti poveri in epoca carolingia, o forse dai Gerosolimitani sempre in quel secolo XIII.
L’amministrazione era affidata ad una società religiosa intitolata al S.S.Sacramento.
I locali risultavano composti da tre camere, una cucina, un magazzino, una bottega e accanto la casa dell’Albergatrice.

Il tutto arredato con povera roba: pagliericci, materassi, letti a cavalletto, cuscini, coperte, lenzuola, padelle e panche per sedersi. Infine un libro dove annotare i debitori. La qualifica di Albergatrice era data alla custode di questo ospedale secondo gli ordinamenti dell’epoca “in quo recipiuntur pauperes” ovvero “in cui i poveri sono ricevuti”. Si può quindi pensare che in questo luogo siano stati alloggiati viandanti di passaggio ed anche poveri del paese privi di sostentamento.

Del nome dell’Albergatrice e delle sue discendenti colleghe poco si ricorda. Probabilmente venne assegnato ad ognuna di loro un soprannome. Il più in voga era Zabetta. In dialetto corrisponde a pettegola sullo stile e contenuti della Perpetua manzoniana. Su Zabetta aleggia ancora una storiella legata ad un fatto che risaliva alla notte dei tempi che furono. La raccontò lei stessa ed arrivò a noi. Da Cervo conosciuto come Servus passavano in quei secoli tantissimi pellegrini tra i quali un gruppo di artigiani che vendevano le proprie creazioni nei mercatini locali incontrati lungo i loro viaggi. Il loro peregrinare era un bisogno di procurarsi di che vivere ma anche il bisogno di fuggire dal proprio passato a volte turbolento. Zabetta, l’albergatrice del Borgo medievale, raccontava che ci sia stato un legame fra quegli artigiani e che sia stato un Angelo a farli incontrare.

Incontrare dove? Ma proprio a Cervo in quell’esatta posizione dove poi fu eretta quella “susceptiones” o ospedale. Fu così che Servus si presto’ ancora una volta ad onorare il suo titolo di “servizio” confermando il motto “nomen omen”. Molti di quei viaggiatori affollarono il Borgo e qualcuno innamorato del posto decise di fermarsi. Quegli uomini, che lottarono con la salute e portarono con sé il loro bagaglio di sofferenza, si disse allora da parte dei Cervesi, riusciranno a far sentire la presenza degli Angeli agli artigiani di Cervo.

Sentimento e introspezione s’intrecciano in questo racconto di Zabetta, con semplicità e spiritualismo sottesi da una lieve ironia, accompagnando il lettore verso l’esito imprevedibile dell’avventura di un gruppo di pellegrini artigiani. Zabetta raccontò poi che una bianca colomba portò una corona di ulivo ad un uccellino assai piccolo, lo scricciolo ( u ratallu), per mandarla, in segno di salvezza, a tutte le Albergatrici che si occuparono di quella prima sosta di accoglienza come “susceptiones”.

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