Il processo

Trasferì azienda violando leggi antimafia: chiesti due anni per Giovanni Ingrasciotta

Per i legali difensori non ci fu dolo e gli imputati devono essere assolti

Giovanni Ingrasciotta

Imperia. Il pm Monica Vercesi ha chiesto due anni per Ingrasciotta e 1 anno e quattro mesi sia per la figlia che per un ex dipendente della Coffee Time.

Il processo è quello per trasferimento fraudolento di beni (in violazione della normativa antimafia) che vede sul banco degli imputati l’imprenditore siciliano Giovanni Ingrasciotta, 55 anni, di Castelvetrano (Trapani); la figlia di lui, Alessandra e l’ex dipendente, Robertino Milone.

La vicenda riguarda la società “Coffee Time”, di Valle Armea, a Sanremo, incaricata della vendita di distributori automatici di bevande, requisita, il 15 dicembre del 2011, dalla Dia di Genova, su input del sostituto procuratore Maria Paola Marrali, per la violazione delle disposizioni antimafia relative alla gestione patrimoniale. Secondo l’accusa, Ingrasciotta, avrebbe fittiziamente ceduto le quote nel 2010 alla figlia Alessandra per eludere le disposizioni di prevenzione in materia patrimoniale.

Di diverso avviso i legali difensori che oggi in aula hanno chiesto l’assoluzione.
“Ma non ci sono prove, non c’è un dolo specifico. Non è stata dimostrata la volontà di eludere. Mi chiedo allora come il cliente poteva sapere eventualmente di una misura disposta dalla procur
a – si è domandato il legale del suo cliente Giulio Bettazzi – Si era deciso invece di far uscire dalla compagine societario della Coffee Time che in quel momento dava lavoro a trenta famiglie. Il quadro è che nel 2010 non sapeva di eventuali sequestri. La sua idea era semmai quella di salvare in tutti i modi la società. Quello istruito è un processo alle intenzioni. Non c’era insomma alcuna misura interdittiva richiesta, ma solo anni dopo e tra l’altro rigettate. Ma in quell’anno non c’era nulla, nessuna intercettazione dove si diceva che Ingrasciotta era nel mirino di una eventuale provvedimento giudiziario ovvero di una misura di prevenzione patrimoniale. Lui aveva donato le quote alla figlia e poi la cessione e questo è un altro passaggio che va tenuto in considerazione. Non esistono prove perchè non sono stati dimostrati illeciti. Lui aveva donato le quote della societá che produceva reddito e pagava stipendi e la prefettura non avrebbe dovuto bloccare, ma solo diverso tempo dopo, le gare d’appalto perchè figurava Ingrasciotta. Le testimonianze portate in aula dalla accusa non sono sufficienti per condannare Ingrasciotta. Non è dunque una cessione fittizia – ha ripetuto Bettazzi – Resta il fatto che manca il dolo e quindi non puó essere condannato. Chiedo quindi la sua assoluzione con formula ampia”.

Per l’avvocato Lorenzo Rovere – legale di Milone – il suo cliente era colui che coordinava la manutenzione periodica, ordinava prodotti era diventato il cuore dell’azienda. “Era arrivato allora Milone che si era accordato nell’acquisto delle quote con grande sacrificio. Non c’è nulla fittizio. Non vale la giustificazione che sussistesse un eventuale pericolo di sequestro della societá. Anche Milone non era a conoscenza di eventuali misure restrittive. Non comprendo come possa essere condannato in assenza di prove”.

Il giudice Anna Bonsignorio ha rinviato per eventuali repliche e sentenza al 28 giugno.

commenta